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Autostima e percezione sociale: come la fiducia in sé influenza il giudizio altrui

Nel contesto dell’approccio psicoterapeutico, l’autostima emerge come un elemento centrale nell’analisi dell’individuo e delle sue dinamiche interne. Questo concetto, definito come l’insieme dei giudizi valutativi che l’individuo formula su sé stesso, costituisce il fondamento su cui si costruisce l’identità e la percezione di sé (Battistelli, 1994).

Fin dai primi passi della nostra esistenza, sviluppiamo una percezione di noi stessi attraverso le interazioni con il mondo esterno. Questo processo di rispecchiamento sociale, secondo cui l’altro diviene uno specchio attraverso il quale definiamo noi stessi, modella il nostro concetto di sé. In questo modo, la nostra autopercezione si configura come un mosaico di influenze esterne che plasmano l’immagine che abbiamo di noi stessi.

Autostima e autoefficacia

La struttura del concetto di sé influisce direttamente sul nostro modo di affrontare e interpretare la realtà circostante. Le decisioni che prendiamo e le azioni che intraprendiamo sono guidate dalla nostra autostima, che agisce come filtro tra il nostro mondo interiore e il mondo esterno. Di conseguenza, l’autostima si trasforma in un processo in evoluzione continua, in cui le interazioni con l’ambiente esterno contribuiscono a rafforzare o mettere in discussione la nostra valutazione di sé.

Tuttavia, il processo di sviluppo dell’autostima non è statico. Attraverso un impegno costante nell’esplorazione di sé stessi e nell’adattamento ai cambiamenti, è possibile migliorare e perfezionare la percezione che abbiamo di noi stessi. Il lavoro su sé stessi implica liberarsi dai condizionamenti negativi accumulati nel corso del tempo e ristrutturare il dialogo interiore, aprendo la strada a un’autostima più salda e consapevole.

In questo contesto, la fiducia in sé stessi emerge come un pilastro cruciale. La fiducia, in questo caso, rappresenta la convinzione profonda che siamo in grado di affrontare le sfide e le prove che la vita ci presenta. È un’aspirazione interiore di sicurezza e certezza nelle proprie capacità. È interessante notare che l’autostima e la fiducia in sé stessi si alimentano reciprocamente. Mentre la fiducia in sé stessi può aumentare l’autostima, una buona autostima può favorire una maggiore fiducia nelle proprie abilità. Questo concetto è parallelo a quello di “percezione d’autoefficacia personale”, enfatizzato da alcuni autori, come Albert Bandura.

Nell’ambito psicoterapeutico, l’analisi dell’autostima e della fiducia in sé stessi rivela un intricato legame tra la percezione interna e il modo in cui l’individuo si relaziona con il mondo esterno. L’autostima infatti, oltre ad avere un impatto diretto sul nostro modo di interpretare la realtà, ha anche un’influenza significativa sull’immagine che proiettiamo agli altri. Il modo in cui ci percepiamo internamente si riflette inevitabilmente nei nostri comportamenti, espressioni e atteggiamenti verso gli altri.

Questo legame tra autostima e percezione altrui crea un ciclo interattivo: la nostra autostima influenza il nostro comportamento sociale, che a sua volta determina le reazioni e i feedback che riceviamo dagli altri. Questo circolo vizioso può essere interrotto attraverso l’autoconsapevolezza e il lavoro su sé stessi. L’autoanalisi delle proprie convinzioni limitanti e la pratica di nuovi modelli di comportamento possono contribuire a cambiare il modo in cui ci percepiamo e veniamo percepiti dagli altri. Attraverso l’adattamento e la crescita personale, è possibile trasformare un circolo vizioso in un circolo virtuoso, in cui la fiducia in sé stessi si traduce in interazioni più positive e in una maggiore autostima, alimentandosi reciprocamente per un benessere psicologico duraturo.

Bassa autostima, origini

Le radici della bassa autostima spesso si intrecciano con le esperienze dell’infanzia, creando un impatto duraturo sulla percezione di sé nell’età adulta. L’infanzia, in particolare, svolge un ruolo cruciale nella formazione dell’autostima. Le interazioni con genitori, caregiver e coetanei possono lasciare un’impronta profonda nella psiche dell’individuo. Ad esempio, un ambiente familiare in cui prevale la critica e l’insicurezza può generare un’autostima fragile e negativa. Similmente, il bullismo o l’abuso subito durante l’infanzia possono influenzare la percezione di sé, erodendo la fiducia e promuovendo pensieri negativi.

L’elaborazione di queste esperienze attraverso la terapia può essere un passo cruciale verso la guarigione e il rafforzamento dell’autostima. Con il sostegno di un terapeuta competente, gli individui possono apprendere nuovi modi di affrontare il passato, riscoprire la propria forza interiore e sviluppare una visione più equilibrata e positiva di sé stessi.

Autostima e salute mentale

Una bassa autostima può generare un complesso spettro di implicazioni negative per la salute mentale. Queste implicazioni si riflettono in una serie di sintomi e sfide che possono erodere il benessere psicologico e ostacolare il funzionamento globale dell’individuo.

È infatti spesso associata a sintomi depressivi, caratterizzati da umore depresso persistente, perdita di interesse per le attività, fatica e sentimenti di inutilità. Questa relazione è radicata nell’autovalutazione negativa che spesso accompagna la bassa autostima, contribuendo all’insorgenza di emozioni depressive. Inoltre può innescare manifestazioni ansiose, evidenziando un senso di inadeguatezza e una paura costante di essere giudicati negativamente dagli altri. Questa ansia sociale può limitare le interazioni sociali e generare sentimenti di isolamento, alimentando ulteriormente il ciclo negativo.

Le persone con bassa autostima possono anche manifestare distorsioni cognitive, ossia percezioni distorte della realtà. Questi schemi di pensiero possono amplificare la negatività interna, alimentando la critica e l’autosvalutazione. La continua autocritica può sfociare in un atteggiamento di autosabotaggio, con l’evitamento delle opportunità di crescita personale e professionale. I disturbi alimentari e l’abuso di sostanze possono anche derivare da una bassa autostima, poiché l’individuo cerca di far fronte ai sentimenti di vuoto e insoddisfazione attraverso comportamenti distruttivi. Questi comportamenti possono portare a un circolo vizioso in cui la bassa autostima alimenta i sintomi e viceversa.

È importante sottolineare che queste conseguenze mentali negative possono interagire e amplificarsi reciprocamente, creando un quadro complesso di difficoltà psicologiche. La terapia psicologica svolge un ruolo cruciale nell’affrontare queste implicazioni, lavorando per ristrutturare le credenze limitanti, sviluppare strategie di coping più sane e promuovere la costruzione di un’autostima più resiliente e adattativa.

Costruire la fiducia in sé stessi

La costruzione della fiducia in sé stessi è un processo fondamentale all’interno dell’ambito psicoterapeutico, rivestendo un ruolo cruciale nell’evoluzione individuale e nel miglioramento del benessere psicologico. Questo processo richiede un impegno consapevole, pazienza e una profonda auto-riflessione, focalizzandosi sulla sfida e il superamento delle convinzioni limitanti che possono erodere l’autostima.

Un primo passo nella costruzione della fiducia in sé stessi consiste nell’analisi critica delle credenze negative che si radicano nel subconscio. La psicoterapia offre uno spazio sicuro per esplorare e mettere in discussione queste convinzioni autodistruttive, permettendo all’individuo di sostituirle con pensieri più realistici e positivi. Questa ristrutturazione cognitiva aiuta a liberarsi da schemi mentali auto-sabotanti, aprendo la strada a un’autostima più solida.

Inoltre, attraverso il lavoro terapeutico, gli individui possono esplorare le proprie origini, esperienze passate e influenze sociali che hanno contribuito a modellare la loro percezione di sé. Questa consapevolezza permette di affrontare i fattori che potrebbero aver contribuito alla mancanza di fiducia, favorendo un processo di accettazione e di rielaborazione del proprio sé.

Inoltre, è possibile adottare una serie di strategie mirate:

  • Pratica dell’autocompassione: Trattare sé stessi con gentilezza e tolleranza, accettando le imperfezioni senza giudizio critico. La terapia può aiutare a riconoscere e modificare i modelli di pensiero autodistruttivi.
  • Focalizzazione sulle proprie forze: Identificare e celebrare i successi personali, grandi o piccoli, per costruire una solida base di fiducia in sé stessi.
  • Pratica della mindfulness: Coltivare l’attenzione consapevole al momento presente, smorzando il dialogo interno critico.
  • Coltivare relazioni positive: Costruire legami interpersonali solidali e positivi può contribuire a una percezione più positiva di sé. La terapia di gruppo offre un contesto per condividere esperienze ed ottenere feedback costruttivo.
  • Esplorazione dell’autenticità: Accettare e abbracciare la propria autenticità, riconoscendo che la perfezione non è l’obiettivo.
  • Sfida delle convinzioni limitanti: Indagare e ristrutturare le convinzioni negative che minano l’autostima. La terapia può essere utile nell’affrontare queste convinzioni dannose.
  • Crescita personale continua: Considerare l’autostima come un percorso in evoluzione, impegnandosi costantemente nel miglioramento personale.

Conclusione

In definitiva, l’aumento dell’autostima richiede l’adozione di un approccio multidimensionale che coinvolga il lavoro su pensieri, emozioni e relazioni interpersonali. La crescita personale, nel contesto della psicoterapia, è fortemente legata alla teoria dell’autorealizzazione proposta da Maslow. L’autorealizzazione, il vertice della piramide dei bisogni di Maslow, si riferisce al processo di diventare la versione più autentica di sé stessi e di sviluppare appieno le proprie potenzialità. Attraverso la terapia, gli individui possono intraprendere questo percorso, liberandosi da vincoli emotivi, connettendosi con il loro nucleo interiore e creando una vita più significativa e soddisfacente.

“L’autostima non è narcisismo; è un prerequisito per l’amore sano e l’empatia verso gli altri.”

– Nathaniel Branden

Bibliografia

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Rieger, S., Götz, F. M., & Kuba, K. (2019). Feeling good or feeling accepted? Insights into the interplay between trait self-esteem, interpersonal appraisals, and positive affect regulation. Journal of Positive Psychology

Sowislo, J. F., & Orth, U. (2013). Does low self-esteem predict depression and anxiety? A meta-analysis of longitudinal studies revisited. Psychological Bulletin

Branden, N. (1994). The six pillars of self-esteem. Bantam.

Orth, U., & Robins, R. W. (2014). Understanding the link between low self-esteem and depression. Current Directions in Psychological Science, 23(6), 455-460.

Tafarodi, R. W., & Swann Jr, W. B. (1995). Self-liking and self-competence as dimensions of global self-esteem: Initial validation of a measure. Journal of Personality Assessment

Bandura, A. (2012). On the functional properties of perceived self-efficacy revisited. Journal of Management, 38(1), 9-44.

Supporto alle separazioni

Perché è così difficile cambiare?

Il contesto in cui viviamo è in continua evoluzione ma le persone, una volta raggiunta una situazione di stabilità, tendono a non riuscire ad uscire dalla loro comfort zone. Cambiare in effetti è difficile  anche quando questa ci porta a situazioni di sofferenza. Perché accade questo?  

“È solo dopo essere uscito dalla tua zona di comfort che inizi a cambiare, crescere e trasformarti.”

― Roy T. Bennett

Crescendo ci si sente saldi nel proprio modo d’essere e il cambiamento, per quanto allettante, diventa anche una prospettiva che intimorisce. Intimorisce anche perché, sebbene pensiamo di voler cambiare, siamo convinti nel nostro intimo che il vero cambiamento non sia in realtà possibile. Non ci sembra realistico essere diversi da come siamo, comportarci in altro modo, pensare diversamente. Talvolta ci proviamo anche ma, nel tentativo di migliorarci, incontriamo degli ostacoli e di conseguenza ci scoraggiamo, arrivando a confermare quella paura profonda che abbiamo: per noi cambiare non è possibile. 

"Sono fatto così."

Diciamo spesso frasi simili, come scusa, come giustificazione del fatto che non è possibile attuare un cambiamento. Forse lo è per gli altri, ma non per noi. Talvolta, tuttavia, fa capolino la speranza che le cose possano “forse”, “chissà” anche cambiare ed allora ci sorge un’altra domanda. 

"Ci sono voluti decenni per capire qualcosa della vita e quindi perché dovrei cambiare proprio ora?"

Perché è difficile cambiare

Questo dubbio attanaglia molti di noi, bloccandoci in un confortevole limbo: anche se non si è molto felici al momento, il cambiamento porta con sé incertezza e questa incertezza ci porta a pensare che sia meglio non rischiare di peggiorare la situazione. Inoltre ogni situazione ha dei vantaggi, quello che viene chiamato il “vantaggio secondario” che ha una funzione nel nostro equilibrio psichico e che facciamo fatica a pensare di lasciare andare. 

Oppure spesso non attuiamo nessun cambiamento anche perché ci sovviene il pensiero di poter cambiare senza cambiare realmente. Proprio così: vorremmo un cambiamento ma senza modificare nulla del nostro modo di essere, di pensare, di fare, di relazionarci…insomma coviamo inconsciamente nel profondo l’illusione che facendo le stesse cose, agendo nella stessa maniera, pensando come sempre si possa ottenere un risultato differente. Come dire che se ci siamo ammalati in un determinato contesto, potremmo guarire autonomamente, senza modificare tale contesto.

Soprattutto nell’ambito delle relazioni con gli altri questa resistenza talvolta si mantiene granitica. La paura di cambiare si alimenta del timore che gli altri non accettino le nostre modifiche e le nostre nuove esigente e magari non ci apprezzino, non ci approvino, ci critichino o alla peggio, ci lascino. 

Tuttavia anche quando siamo convinti a voler attuare un cambiamento e forse siamo anche pronti a farlo, ci rendiamo conto che è difficile. 

Per capire meglio perché le persone fatichino a cambiare, possiamo prendere in considerazione i complessi meccanismi del cervello che ci possono limitare, costringendoci a rimanere su un percorso che non siamo sicuri di voler mantenere.

Modelli cerebrali formati

Man mano che si cresce il nostro cervello si plasma e costruisce degli schemi interni, ovvero dei “percorsi” che sono funzionali alla gestione della complessità: funzionando quindi in un modo, si strutturano delle abitudini e, nel tempo, si diventa sempre più fissi nelle proprie routines. In questo caso però non parliamo della nonna che insiste che la cena deve essere servita alle sei, si tratta di come reagiamo alle cose, affrontiamo i fallimenti, ci poniamo nei confronti delle sfide quotidiane. Quando si diventa adulti, nel  cervello si sviluppano dei meccanismi automatici. Per un qualsiasi tipo di innesco, esiste una risposta automatica corrispondente.

In una relazione, per esempio, si tende a reagire nello stesso modo ogni volta che il partner dice o fa qualcosa. Non ci pensiamo perché c’è uno schema cerebrale formato che dirige la nostra reazione. Quante relazioni fallite ci sono costate questi schemi? Per reagire in modo diverso, dobbiamo esaminare lo schema e capire perché alcune cose ci fanno arrabbiare, o perché altre cose ci feriscono. 

Anche il confronto con l’Altro aiuta a fare questa operazione di scoperta, comprensione, analisi dei propri schemi interni e dei propri automatismi. In questo la terapia può essere un valido supporto molto ed è proprio quando le persone scoprono i propri schemi interni oppure si accorgono di reagire in modo “sempre uguale” alle cose che decidono di chiedere aiuto e di affrontare con una persona “estranea” questa riflessione. 

Paura del fallimento

Forse non ci piace la strada che stiamo percorrendo, ma almeno pensiamo che ci abbia tenuto al sicuro finora. Questo vale per le relazioni, le scelte di carriera, la vita sociale, ecc. Come possiamo cambiare modo di fare proprio ora? Cosa succederebbe se dovessimo fallire e non dovessimo arrivare a un miglioramento? 

Cambiare il modo in cui siamo e in cui approcciamo i problemi più andiamo avanti con gli anni più diventa impegnativo. Ma è importante essere consapevoli del fatto che, sebbene col tempo diventi più laborioso farlo, non è mai troppo tardi per cambiare sé stessi. 

Se è vero che la nostra mente costruisce degli schemi è degli automatismi, è altrettanto vero che il nostro cervello ha una importante capacità di adattamento e cambiamento: si chiama proprio plasticità neuronale quella meravigliosa attitudine del nostro cervello a plasmarsi, evolvendo. E quindi se è fatto per costruire schemi, è altrettanto capace di cambiare i circuiti. Dal punto di vista neuronale ciò è possibile ma la vera resistenza è talvolta psicologica. 

Esitiamo all’idea di iniziare un percorso di miglioramento personale perché non sappiamo dove porterà. Pensiamo che verremo giudicati, che perderemo il nostro status sociale o il rispetto degli altri. 

Se solo potessimo smettere di rimuginare su questi possibili esiti negativi, ci potremmo concentrare sull’alternativa. Se avessi successo nel mio cambiamento? E se fossi felice della nuova vita? Se non proviamo, non lo sapremo mai. Ci potremo consolare con l’idea che abbiamo evitato di fare un errore e risparmiato energie, senza pensare mai a quanto avremmo potuto essere felici.

“Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiare se stesso.”

― Lev Tolstoj

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Cosa c’è dietro la perfezione dei perfetti?

Il disturbo d’ansia di solito è ben riconoscibile. Un attacco di panico è difficilmente dimenticabile mentre chi soffre di ansia generalizzata, ad esempio, vive una vita in un perenne stato di agitazione, caratterizzata da preoccupazioni e pensieri debilitanti costanti. 

Eppure esiste un tipo d’ansia che si maschera dietro comportamenti di persone  apparentemente di successo, performanti, produttive; i cosiddetti “bravi”, perfetti in ogni aspetto della loro vita. Questo tipo d’ansia viene comunemente chiamato ansia ad alto funzionamento e, sebbene sia difficile da identificare, è più frequente di quanto si pensi. 

Ma andiamo con ordine e capiamo come si manifesta, crea e risolve questo disagio psicologico.

Come si manifesta

L’ansia ad alto funzionamento è una forma di ansia che possono vivere quelle persone che sono alla costante ricerca della perfezione in tutto ciò che fanno. Sono l’immagine del successo: sempre presenti, preparati, puntuali e impeccabili. Può sembrare che questo tipo di ansia sia una buona cosa, che in qualche modo renda più facile fare le cose o avere successo. 

Ma non è tutto oro quello che luccica!  

Ciò che si nasconde sotto la superficie di un aspetto apparentemente perfetto, è un turbinio di ansie costanti. A differenza da altri disturbi d’ansia, chi soffre di ansia ad alto funzionamento calma queste preoccupazioni colmando le loro giornate di lavoro e impegni senza dedicarsi un momento di pausa. 

Le caratteristiche dell’ansia ad alto funzionamento possono essere percepite dagli altri come parte della personalità. Altre caratteristiche dell’ansia ad alto funzionamento, invece, sono interne e potrebbero non essere mai notate dagli altri, nonostante causino molto stress.

Caratteristiche principali
  • Bisogno di piacere e confrontarsi con gli altri
    • Paura di allontanare o deludere le persone, di essere un cattivo amico, coniuge e dipendente; paura di deludere gli altri, di non all’altezza delle aspettative; necessità di rassicurazione chiedendo indicazioni più volte o controllando frequentemente gli altri.
  • Costante sovraccarico di impegni
    • Incapacità di dire “No”, rilassarsi e “godersi il momento”
  • Pensiero eccessivo
    • Ruminazione e tendenza a soffermarsi sul negativo
  • Gestione del tempo non ottimale
    • Tempo perso arrivando troppo presto agli appuntamenti o procrastinazione seguita da lunghi periodi di lavoro intenso
  • Stanchezza mentale-fisica e insonnia
    • Difficoltà ad addormentarsi o svegliarsi presto e non essere in grado di riaddormentarsi
  • Vita sociale limitata
    • Rifiutare gli inviti
  • Difficile da leggere
    • Altri pensano che tu sia stoico, privo di emozioni, freddo

Come si crea 

L’origine di questo disturbo viene di solito associata al contesto sociale ed economico nel quale viviamo che spinge l’individuo alla performance, a dare il massimo e mostrare risultati tangibili e costanti. Si pensa che sia il sistema scolastico o l’ambiente lavorativo ad essere tossico e disfunzionale. Tuttavia, sebbene abbia grande rilevanza, è solo una parte del problema

Questa ricerca della perfezione, infatti, ha inizio soprattutto nell’educazione familiare guidata, ad esempio, dal classico concetto “se mi vuoi bene devi andare bene a scuola”. Considerando il ruolo determinante della famiglia nello sviluppo psicologico di ogni individuo, specialmente in tenera età,  questa apparente innocua frase motivazionale può dare il via di una connessione logica-mentale dannosa: se non si dà prestazioni, si va a deludere o a rovinare il rapporto con il genitore o la persona cara.  Si iniziano a creare quindi le basi di una gabbia da auto mantenere, un circolo vizioso che si autoalimenta con il tempo. 

Ansia ad alto funzionamento e Autostima

L’ansia ad alto funzionamento, difatti, ha profonde radici a livello di autostima. È un meccanismo che fa confondere il valore con la prestazione, la mentalità di crescita con il bisogno di mantenere l’immagine di sé. Ci si sente adeguati solo quando si ottengono risultati, come se fossero essi a definire il valore della persona e non l’essere in sé. Di conseguenza, questi risultati vengono immediatamente e automaticamente giudicati considerando un’ottica esterna, quella delle altre persone, ignorando il vero significato personale di essi. 

Una persona con ansia ad alto funzionamento raggiunge il successo non tramite una sana consapevolezza delle proprie potenzialità, motivazione e perseveranza, ma tramite l’energia nervosa, la paura di fallire e di deludere gli altri.


Come si gestisce

È evidente che questa ricerca alla perfezione richiede molte energie ed è normale che alla fine sfoci in alti livelli di stress.  Chi chiede aiuto psicologico per risolvere il disturbo di ansia ad alto funzionamento sono proprio i “bravi”; non perché riconoscono il problema alla base ma perché percepiscono la propria condizione troppo delicata, il cui prezzo da pagare in caso di errore è enorme. Sentono la pressione della propria immagine esageratamente pesante per poter proseguire i loro obiettivi e cercano una soluzione per alleviare quel peso, senza rendersi conto che sono proprio la loro attitudine e gli standard dei propri obiettivi l’origine della loro sofferenza.

Tuttavia, se ti ritrovi in questa descrizione o conosci qualcuno che sta vivendo qualcosa di simile, sappi che non è irrisolvibile, anzi, ci sono modi per gestire e superare questo circolo vizioso.

In ambito terapeutico, i disturbi d’ansia di questo genere sono solitamente trattati tramite la combinazione di terapia cognitivo-comportamentale e tecniche di training autogeno e mindfulness. L’obiettivo di tale trattamento è quello di sbloccare la persona dagli auto condizionamenti per permetterle di esprimere la propria essenza liberamente, placando i sintomi psicofisici dovuti allo stress.

Strategie per superare l’ansia ad alto funzionamento

Tra le strategie per superare l’ansia ad alto funzionamento, realizzare che la perfezione non esiste è tra le prime. Ognuno ha i propri limiti e tempi; solo accogliendo e comprendo la cosa si può effettivamente cambiare ed esprimere il meglio di sé. L’accettazione di sé è il primo passo per cambiare. Come dice Carl Rogers, 

“Il curioso paradosso è che quando accetto me stesso per come sono, allora posso cambiare.” 

Ciò significa che bisogna anche imparare a saper godere dei propri risultati. La soddisfazione è infatti la condizione primaria per riacquistare l’energia necessaria per ripartire. Per puntare alla tappa successiva bisogna essere prima soddisfatto di quella raggiunta; devo sentirmi soddisfatto nella condizione in cui sono e convincermi che era il meglio che si potesse fare. Perché spesso quello che viviamo non dipende solo da noi stessi; ci molte variabili in gioco che non sempre si possono controllare.

La ricerca della perfezione è tossica anche a livello relazionale. Offuscata da essa, si costruisce un atteggiamento tale per il quale vincere e avere risultati migliori hanno la priorità rispetto le persone e le relazioni costruite con esse.  Ma spesso, vincere non ne vale la pena. Per questo è importante imparare a saper perdere, analizzare e comprendere quando è il caso di lasciare andare in modo che anche altre persone possano sentirsi bene con se stesse. 

In conclusione,  il segreto è puntare ad un’armonia, avere un equilibrio nelle valutare le cose, le persone e contesti nei quali viviamo. La mentalità vincente è quella che sfrutta anche l’insuccesso come occasione. Quella che coglie il positivo ed estrae energia e motivazione dai propri successi o insuccessi. Una delle frasi più note di Denis E. Waitley, famoso oratore e consulente motivazionale, dice:

“I perdenti vedono dei temporali, i vincenti vedono degli arcobaleni. I perdenti vedono strade ghiacciate, i vincenti mettono i pattini da ghiaccio!”

Denis E. Waitley

Quindi cambiamo prospettiva, prendiamo la vita con meraviglia, divertimento e riflessione. Mettiamoci ai piedi i pattini e pattiniamo leggeri sulle strade della vita!