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Abitudini positive: la chiave per una vita equilibrata

Le abitudini, quei comportamenti che diventano parte integrante della nostra routine quotidiana, sono una componente fondamentale della nostra vita. Il processo attraverso il quale il nostro cervello traduce una sequenza di azioni in una routine automatica è noto come “chunking”. Questo meccanismo di acquisizione di unità d’informazione è alla base della formazione delle abitudini.

Il processo di formazione delle abitudini

Ogni giorno, ci troviamo a dipendere da una vasta gamma di unità d’informazione comportamentali, che variano dalla semplicità di gesti automatici come allacciarsi le scarpe a complessi rituali quotidiani come la preparazione della colazione per i nostri cari. Queste azioni, seppur differiscono in complessità, condividono una caratteristica fondamentale: la capacità del nostro cervello di trasformarle in routine automatiche. Questo meccanismo di acquisizione di unità d’informazione diventa il fondamento stesso della formazione delle abitudini.

Il processo circolare che accompagna la formazione di un’abitudine è suddiviso in tre fasi distintive: il segnale, la routine e la gratificazione. Iniziamo con il riconoscimento di un segnale, un trigger che avverte il nostro cervello di entrare in modalità automatica e inizia il processo abitudinario. La routine rappresenta l’esecuzione dell’azione stessa, che può manifestarsi a livello fisico, emotivo o mentale. Infine, la gratificazione svolge un ruolo chiave nell’assegnare valore all’intero processo. È attraverso la gratificazione che il nostro cervello decide se vale la pena memorizzare e perpetuare l’abitudine. Una volta attivata l’abitudine, il nostro cervello ottimizza il consumo di energia, permettendoci di concentrarci su altre attività senza dover investire nuovamente risorse cognitive.

Abitudine e risparmio energetico

Il cervello, in tutta la sua complessità, è incessantemente impegnato nella ricerca di nuovi modi ed efficienti strategie per risparmiare energia. Le abitudini emergono come uno strumento evolutivo attraverso il quale il cervello cerca di massimizzare i risultati ottenuti con il minimo sforzo possibile. Questo meccanismo intrinseco, sebbene vantaggioso per la nostra sopravvivenza quotidiana, può rivelarsi pericoloso se non gestito con attenzione.

In particolare, la formazione di abitudini e il conseguente risparmio energetico possono portare a una sorta di “sonnolenza” mentale, rendendoci meno consapevoli delle situazioni cruciali che richiedono la nostra attenzione. Il cervello, tuttavia, ha evoluto un sistema di autoregolazione intelligente per mitigare questo rischio. Esso si attiva agli estremi della sequenza abitudinaria, al momento del segnale e della gratificazione, per assicurarsi che la consapevolezza rimanga al centro delle nostre azioni. È un delicato equilibrio tra risparmio energetico e necessità di vigilanza, con il nostro cervello che decide quando è opportuno lasciare che le abitudini guidino le nostre azioni e quando è il momento di recuperare la piena consapevolezza.

Buone norme per la formazione delle abitudini

Nel contesto psicoterapeutico, l’approccio di William James alle buone norme per la formazione delle abitudini rivela una profonda comprensione delle dinamiche mentali e comportamentali. Iniziare con un buon inizio è più che un semplice avvio; rappresenta il fondamento di un cambiamento duraturo. La forte motivazione e la determinazione mentale sottolineano la necessità di connetterci emotivamente all’obiettivo. Nella psicoterapia, questo significa esplorare le radici emotive dietro il desiderio di cambiamento e lavorare insieme al paziente per coltivare una motivazione intrinseca. La consapevolezza della fatica che può insorgere è essenziale, poiché permette di affrontare e superare gli ostacoli con resilienza. La vera potenza trasformativa risiede nella ripetizione di questo cambiamento fino a quando non diventa un’abitudine, uno schema comportamentale automatico e integrato. Il paziente è incoraggiato a comprendere che l’instaurazione di una nuova abitudine richiede tempo e costanza. È solo attraverso la ripetizione e la pratica che si raggiunge la trasformazione desiderata.

L’obiettivo della terapia è quindi quello di assistere il paziente nel comprendere questo processo e nel pianificare l’implementazione di abitudini positive. Ciò implica stabilire regole e impegnarsi a seguirle, anche se inizialmente richiedono sforzo e autocontrollo. Con il tempo e la ripetizione, queste azioni diventano più naturali e spontanee, proprio perché si trasformano in abitudini automatiche. Tuttavia, affinché questo processo sia efficace, è essenziale che ci sia una motivazione intrinseca che guidi il paziente nel suo percorso di cambiamento.

Mantenere una pratica regolare è un pilastro nel processo di formazione di abitudini positive. Nell’ambito psicoterapeutico, ciò potrebbe tradursi nell’implementazione di tecniche o strategie specifiche. Ad esempio, un paziente impegnato nella gestione dello stress potrebbe essere incoraggiato a praticare la respirazione profonda o la mindfulness regolarmente. L’evitare interruzioni è cruciale: nella terapia, ciò potrebbe implicare un’esplorazione approfondita delle resistenze e la messa in atto di strategie per superarle. La scelta di un ambiente favorevole può essere interpretata come la creazione di un contesto terapeutico sicuro e di supporto, dove il paziente si sente incoraggiato a esplorare e adottare nuovi comportamenti senza giudizio.

Non fermarsi fino al raggiungimento dell’obiettivo sottolinea l’importanza di mantenere la costanza e la persistenza nel processo terapeutico. Questo suggerisce una collaborazione a lungo termine tra terapeuta e paziente, affrontando progressivamente le sfide e celebrando i successi, anche quelli apparentemente piccoli. L’obiettivo finale potrebbe essere ridefinito nel corso del tempo, in base all’evoluzione delle esigenze del paziente, creando un approccio flessibile e personalizzato.

Spezzare l’abitudine

Un aspetto cruciale nel processo terapeutico è la valutazione delle abitudini del paziente. È essenziale riconoscere che il risparmio energetico, sebbene benefico per le abitudini positive, può avere conseguenze negative quando applicato a comportamenti dannosi. Il fulcro dell’intervento terapeutico è dunque analizzare attentamente se le abitudini del paziente siano virtuose o viziose.

Le abitudini negative tendono a perpetuare il danno, creando un ciclo vizioso di comportamento dannoso. Al contrario, le abitudini positive innescano un meccanismo virtuoso che promuove il benessere e il cambiamento positivo. La terapia mira a facilitare questo processo di trasformazione, ponendo l’accento sul primo passo fondamentale: impostare un cambiamento. L’idea di spezzare un’abitudine consolidata, specialmente a livello psicoterapeutico, richiede un’analisi attenta e sensibile. L’apprendimento basato sulla ricompensa emerge come un paradigma potente per favorire il cambiamento. Invece di concentrarsi esclusivamente sull’autocontrollo, l’attenzione alla ricompensa spinge il paziente a collegare chiaramente le azioni intraprese con i risultati desiderati. La psicoterapia potrebbe quindi incorporare l’esplorazione delle gratificazioni intrinseche e estrinseche associate ai comportamenti, consentendo al paziente di sviluppare una visione più completa e motivante del cambiamento.

La consapevolezza diventa il filo conduttore attraverso il quale il processo di “rimodellamento” avviene. Il terapeuta, insieme al paziente, esplora le dinamiche sottostanti che sostengono l’abitudine consolidata, portando alla luce schemi di pensiero e comportamenti automatici. Questo livello di consapevolezza apre la porta alla possibilità di adottare una nuova prospettiva sulla situazione, aprendo la strada a scelte e comportamenti alternativi.

Il focus sulla ricompensa potrebbe anche coinvolgere la definizione di obiettivi specifici e la creazione di un sistema di rinforzo positivo per incoraggiare progressivamente il cambiamento. L’approccio è basato sulla comprensione che, mentre l’autocontrollo può vacillare sotto lo stress, il cervello è suscettibile alla gratificazione, offrendo una leva preziosa per modellare nuovi comportamenti. La consapevolezza, quindi, si trasforma in uno strumento potente per il cambiamento, consentendo al cervello di adattarsi e adottare nuovi modelli di comportamento più adatti e desiderati.

Perché non possiamo semplicemente controllarci?

L’affermazione della dottrina dell’autocontrollo ha permeato la nostra cultura per anni, invitandoci a credere che, in qualsiasi situazione, dovremmo essere in grado di controllare le nostre azioni con pura forza di volontà. Tuttavia, la ricerca neuroscientifica ci ha aperto gli occhi su una realtà più complessa. Le reti cerebrali coinvolte nell’autocontrollo, cruciali nel mantenere comportamenti desiderati e resistere alle tentazioni, sono fra le prime a “staccarsi” durante situazioni di stress.

Il cervello, complesso e adattabile, reagisce allo stress disattivando temporaneamente le regioni deputate all’autocontrollo. Questo fenomeno può spiegare perché, sotto pressione o in momenti di forte emozione, ci ritroviamo a cedere a comportamenti indesiderati nonostante la nostra ferma volontà di resistere. Ad esempio, potremmo trovare difficile trattenere una reazione impulsiva durante una discussione accesa o resistere a una cattiva abitudine quando ci sentiamo sopraffatti.

La chiave per superare questa sfida risiede nella consapevolezza. Capire che le reti cerebrali dell’autocontrollo possono diventare “offline” in certi contesti ci permette di adottare un approccio più compassionevole verso noi stessi. La consapevolezza di questo processo neurologico ci offre l’opportunità di esplorare nuovi approcci per gestire lo stress e le emozioni intense, anziché cercare di forzare il controllo.

Spostare l’approccio dalla disciplina all’apprendimento basato sulla ricompensa

Il concetto di spostare l’approccio dalla disciplina all’apprendimento basato sulla ricompensa rappresenta una svolta significativa nella nostra comprensione del cambiamento comportamentale. Invece di concentrarsi esclusivamente sull’autocontrollo, si propone di abbracciare una prospettiva che coinvolge il cervello attraverso incentivi positivi.

L’apprendimento basato sulla ricompensa sottolinea che quanto sia gratificante un comportamento determina la probabilità di ripeterlo in futuro. In contesti psicoterapeutici, questo approccio può essere applicato attraverso il riconoscimento e la valorizzazione dei progressi, la definizione di obiettivi realistici e l’implementazione di sistemi di rinforzo positivo. La consapevolezza gioca un ruolo cruciale in questo processo, consentendo al paziente di riconoscere le ricompense associate ai comportamenti desiderati.

Guardare chiaramente cosa si ottiene dalla modifica di un comportamento consente di creare una connessione diretta tra azione e risultati. Nel contesto terapeutico, questo potrebbe implicare la riflessione su come un cambiamento comportamentale può migliorare la qualità della vita del paziente o contribuire al raggiungimento dei suoi obiettivi. La consapevolezza continua di questi benefici offre un incentivo costante per mantenere il cambiamento a lungo termine.

Infine, trovare un’offerta migliore implica la ricerca di nuovi modi gratificanti per sostituire comportamenti indesiderati. La consapevolezza gioca ancora una volta un ruolo cruciale nell’aiutare il paziente a esplorare alternative più soddisfacenti e salutari. Invece di focalizzarsi solo sulla rinuncia, si incoraggia il paziente a concentrarsi sulle nuove opportunità e ricompense che un cambiamento positivo può portare nella sua vita. Questo approccio non solo facilita il processo di adattamento, ma sostiene anche il desiderio intrinseco del cervello di cercare offerte più ampie ed efficienti.

Conclusione

In esplorare il mondo complesso delle abitudini e del cambiamento comportamentale, emerge una verità fondamentale: siamo creature guidate dalla nostra biologia, plasmate da abitudini che, nel corso del tempo, diventano parte intrinseca della nostra quotidianità.

Partire da un buon inizio con motivazione e determinazione mentale, mantenere una pratica regolare senza interruzioni, creare un ambiente favorevole e perseverare fino al raggiungimento dell’obiettivo costituiscono le pietre miliari per la formazione di abitudini durature e positive.

Tuttavia, l’ostacolo dell’autocontrollo sottolinea la complessità della nostra psiche. Le reti cerebrali che supportano l’autocontrollo si disattivano sotto stress, sfidando la concezione tradizionale di semplice forza di volontà. La chiave per superare questa sfida risiede nella consapevolezza e nell’adozione di un approccio basato sull’apprendimento e sulla ricompensa. In questo modo, ci spostiamo dalla disciplina rigida a un modello più flessibile e incentrato sul riconoscimento positivo.

Nella sfida di spezzare abitudini consolidate, la consapevolezza continua a essere il faro che illumina il cammino del cambiamento. Spostare il focus sulla ricompensa permette di creare collegamenti chiari tra azione e risultati desiderati. La consapevolezza ci guida attraverso il processo di “rimodellamento,” consentendo al cervello di adattarsi e abbracciare nuovi modelli di comportamento più adatti e gratificanti.

In definitiva, il percorso per formare abitudini positive e superare quelle indesiderate richiede una combinazione di motivazione intrinseca, pratica costante, consapevolezza e una prospettiva centrata sulle ricompense. Nel viaggio della crescita personale, possiamo trasformare il nostro rapporto con le abitudini, coltivando uno stile di vita che ci eleva e ci avvicina sempre di più al benessere mentale e emotivo.

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Speranza ai tempi del Covid, ha senso parlarne?

Sono passati quasi due anni dall’inizio della pandemia e, per il momento, pare non vedersi la fine. Due anni di costante preoccupazione hanno avuto un impatto su tutti, su chi si sentiva forte e stabile e su chi aveva già qualche fragilità. Nessuno è stato risparmiato, anche se non tutti abbiamo pagato lo stesso prezzo. Abbiamo anche assistito ad un picco di nuovi malesseri psicologici oltre che al riattivarsi di vecchi disagi. 

Quindi, chi più, chi meno, ci siamo tutti sentiti invasi da sentimenti di disperazione o paure, passando da un’iniziale incredulità e sgomento al ritrovarci ad essere più cinici di prima. Tutti sintomi di stanchezza psicologica ed impotenza emotiva e mentale. 

Speranze disattese 

Questa stanchezza mentale non è arrivata subito, all’inizio eravamo tutti spaventati dal nuovo e pericoloso virus, ma c’era speranza.
“Altre due settimane e torneremo alla normalità” ci dicevamo. 

Le settimane però si sono trasformate in mesi. Nonostante ciò, la nostra speranza collettiva si è rinnovata con una nuova aspettativa: sei mesi al lancio del vaccino, altri sei mesi fino all’immunità di gregge. Insomma, il tempo che passava era cadenzato dall’attesa di un domani diverso, della fine di questa situazione, del ritorno a ciò che era. 

Ora invece abbiamo talvolta la sensazione di essere tornati al punto di partenza con la possibilità dell’imposizione di nuovi blocchi ed un virus che sembra non voler demordere.
“La curva è in rialzo“. Il semplice atto di leggere queste poche parole è ora sufficiente per gettare chiunque nella sconsolazione e nella negatività. Eppure, non possiamo permettere che questo accada. Se non ci prendiamo cura del nostro benessere mentale, nessuno lo farà per noi. Ciascuno, infatti, può fare solo per sé nel cercare nel proprio mondo interno delle risorse mentali ed emotive per far fronte a questa situazione. 

Mentre ci avviciniamo alla fine dell’anno, la maggior parte di noi sarà incline a dire riguardo al 2021 “finalmente ci liberiamo di quest’anno!”, proprio come abbiamo fatto l’anno scorso. La domanda che ci possiamo porre è come possiamo uscire da questo anno con la sensazione che non sia passato invano. Con la forza del periodo natalizio forse è il momento di rivalutare i momenti vissuti in questi mesi: se non possiamo modificare ciò che accade, possiamo cambiare il nostro approccio e la nostra reazione a ciò che ci succede. 

Certo, prima nutrivamo la speranza che tutto si potesse risolvere rapidamente, meglio, diversamente… Ma questo perché non avevamo nella nostra memoria vicende simili da prendere come riferimento. L’immaginario collettivo all’interno di una tale circostanza si è ora ridimensionato, è arrivato il momento di ritornare a vivere. Prendere coscienza che non  possiamo prevedere né controllare tutto è il primo passo, cercare un adattamento funzionale è il secondo. Ma cosa significa adattamento funzionale? 

Concentrarsi sul positivo

Proviamo a dimenticare il mondo esterno per un momento e a guardarci intorno.  

Come possiamo cercare di vedere il positivo in questa situazione? Si tratta banalmente di vedere il bicchiere mezzo pieno invece che mezzo vuoto? Diciamo che potremmo intenderla come un tentativo di vedere ciò che c’è invece di ciò che manca o che non c’è più. Di partire da quello che abbiamo per cercare di cogliere le opportunità, in questo momento, con queste risorse. 

Potremmo imparare questa modalità dalla natura: questa si rigenera sempre, si rinnova e riparte da quello che c’è in quel momento. Immaginiamo un incendio che distrugge una foresta. Sembra tutto morto ma poi la foresta riparte a rigenerarsi da ciò che è rimasto, un virgulto, una piantina, un seme. Certo, non ha alternative. Nemmeno noi  ne abbiamo. Ruminare e fissarci su com’era, su come dovrebbe essere, ci fa perdere di vista ciò che c’è ora. Ma da questo si può ripartire. Solo da questo. 

Per combattere la stanchezza psicologica è necessario mettere le cose in prospettiva. 

La forza che abbiamo mai pensato di avere 

Le prove della vita in tempi di Covid si sono forse fatte più aspre ma, avendole superate, ne siamo usciti fortificati, cambiati. Pensiamoci: se qualcuno ci avesse detto nel 2019 che avremmo affrontato due anni di un’orribile pandemia, non ci avremmo creduto. Eppure, eccoci qui. Mentalmente esausti e forse anche un po’ depressi, ma ce l’abbiamo fatta. Un giorno alla volta abbiamo attraversato chiusure, distanze, limitazioni, perdite. Non si tratta di sopravvivere al solo virus, ma a questo periodo terribile con tutte le sue difficoltà. E ci siamo riusciti attingendo a delle risorse interne che forse nemmeno pensavamo di avere. 

Rivalutare le priorità

Prima eravamo abituati ad andare tranquillamente al ristorante o a fare shopping, a volte quasi anche in modo automatico: poi  abbiamo scoperto che questa routine non era poi così scontata. 

Questo ha portato alcuni di noi nello sconforto e forse qualcuno è rimasto in questa condizione. Qualcun altro, invece, ha colto l’occasione per scoprire dinamiche nuove, abitudini diverse, piaceri dimenticati…. Durante gli interminabili lockdown molti hanno riscoperto altri aspetti della vita: passare un tranquillo pomeriggio di relax, fare una passeggiata vicino casa, stare con la famiglia… Abbiamo realizzato che avere una vita sociale attiva è importante, ma lo è anche passare del tempo con se stessi o con i propri cari.

Durante la pandemia quindi, molte persone hanno riscoperto la gioia di godersi le piccole cose, un’abitudine che vale la pena di mantenere anche quando le restrizioni saranno completamente tolte. L’abitudine di prendere il meglio anche dalle situazioni che non possiamo controllare, vivendo pienamente. L’abitudine a vivere il “qui e ora”. 

Godiamoci il momento

Con l’avvicinarsi delle vacanze invernali, entrando nell’atmosfera natalizia, è quindi importante riconoscere che ci sono ancora molte cose di cui essere felici. 
Lasciamo andare la rabbia, il rancore e la negatività legati al passato e rivolgiamoci con disponibilità al futuro. Certo, in momenti di criticità la rabbia ci permette di reagire, ci offre un capro espiatorio esterno cui dirigere la nostra paura e la nostra frustrazione. Ma in questo caso la rabbia, se pur condivisibile, può logorarci. Ci fa perdere la possibilità di goderci il qui e ora, il momento. Ci fa ancorare a posizioni rigide, talvolta intransigenti ed irrazionali. A volte il nemico non è fuori ma dentro di noi. Ci segue come l’ombra e può prendere il sopravvento: ecco che allora la paura diventa il criterio su cui prendiamo le decisioni. Ma la paura non è mai una buona consigliera. 

Allora che si può fare? Se l’immaginario collettivo non ci aiuta possiamo andare a cercare altri riferimenti interni, magari semplicemente recuperare la saggezza dei nostri nonni: “se è andata così, doveva andare così”.

Non è semplice fatalismo o passività, è quella saggezza antica che ha sempre aiutato chi ci ha preceduto a superare le avversità della vita. Recuperarla significa concedersi di pacificarsi con sé e aprirsi alla possibilità di cogliere le reali opportunità che questo momento della vita ci riserva. Viceversa ci lasciamo solo invadere  e logorare da emozioni “tossiche” che imbrattano il nostro “qui e ora” e soffocano ogni possibilità di rigenerazione.
Lasciamoci alle spalle la rabbia e la paura che ci hanno portato fino a qui e apriamoci, preparandoci ad accogliere serenamente e con positività l’anno nuovo.

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Rimedi naturali: meglio degli psicofarmaci?

In un precedente articolo abbiamo parlato dell’importanza e degli effetti benefici del pensiero positivo. Da solo però a volte non basta: in alcuni momenti di difficoltà le parole non sono sufficienti per combattere malesseri più profondi. Le emozioni infatti originano da reazioni chimiche nel cervello, non sono questione di “volontà” e per  questo motivo talvolta può essere opportuno assumere dei farmaci o rimedi per gestire meglio i sintomi

Sostanze come serotonina, norepinefrina o dopamina, appunto, influenzano negativamente l’equilibrio emotivo. Per contrastare queste reazioni spesso il medico potrebbe proporre l’uso di psicofarmaci che però in quanto sostanze “sintetiche” sono accolti con perplessità e riluttanza dalle persone. Al contrario, curarsi con prodotti naturali è considerato più sicuro, e senza controindicazioni. 

Ma i rimedi naturali sono davvero più efficaci? Perché si usano gli psicofarmaci? 

L’efficacia dei Rimedi naturali

Questa medicina è naturale, di sicuro è meglio degli psicofarmaci! Non fa male e va bene per tutti.”

Credenza comune

L’utilizzo di medicine alternative naturali per la cura di diverse patologie, tra cui depressione e ansia, è in rilevante e continua crescita. Il fatto poi che per questi rimedi naturali, spesso a base di erbe, non serva una ricetta, ne facilita reperibilità e assunzione. È proprio la facile reperibilità e il fatto che siano principi attivi naturali a far pensare che queste erbe siano efficaci. È importante ricordare però che anche una cosa naturale è fatta da elementi chimici e, come gli psicofarmaci, attiva reazioni chimiche quando assunta.

Certo, l’efficacia di alcuni rimedi naturali è comprovata: pensiamo all’ipericum (Erba di San Giovanni), antidepressivo già usato da Ippocrate, al Ginkgo Biloba, utile per rallentare il decadimento della memoria e per rafforzare antidepressivi, o alla lavanda e alla valeriana, buone per alleviare l’ansia.

Ognuno di questi è però efficace solo nella cura di determinati sintomi ed è quindi importante chiedere a un medico esperto di fitoterapia, o al farmacista di fiducia, prima di assumerli. 

Non tutti i rimedi naturali sono efficaci.

Attenzione a questo fatto perché, sebbene i rimedi naturali possano essere usati da moltissime persone, non è detto che siano davvero efficaci nel trattare i sintomi dei malesseri sentiti. Non tutti i composti in commercio hanno la stessa efficacia e questo dipende da molti fattori. Inoltre alcuni principi attivi o erbe, per quanto decantati, non possiedono nessun reale effetto dimostrato. È quindi importante controllare sempre con attenzione l’effettiva validità delle erbe che si assumono, prendendo come riferimento ricerche scientifiche che ne confermino l’impatto positivo e confrontandosi sempre con il proprio medico curante per assicurarsi che non abbiano controindicazioni.  Così facendo, evitiamo effetti non positivi, da non sottovalutare visto che comunque parliamo di rimedi naturali che sebbene non siano psicofarmaci rimangono sostanze medicinali.

Psicofarmaci e terapia

Sorge spontanea a questo punto la domanda: ma allora non bastano i rimedi naturali? Oppure ha senso assumere psicofarmaci? A volte sì, ha senso. Se la terapia non basta, il metodo terapeutico più efficace consiste nell’affiancarle la farmacoterapia. Ciò non significa che soffriamo di un problema grave, ma semplicemente che abbiamo bisogno di una mano per  mitigare i sintomi di base mentre si interviene sulla mente e sulle relazioni interpersonali che stanno alla radice del problema.

Quindi i trattamenti psicologici usano un metodo terapeutico in cui si uniscono farmaci somministrati, parole dette e discorsi fatti con pazienti. Operativamente, questo percorso è determinato dal terapeuta, che fa una scelta in base alle caratteristiche e alle necessità del malessere riconosciuto attraverso la diagnosi.

La potenza della parola nei riguardi delle cose dell’anima sta nello stesso rapporto della potenza dei farmaci nei riguardi delle cose del corpo.

Gorgia

È solo dopo un attento percorso di diagnosi insomma, che vengono effettivamente somministrati gli psicofarmaci. Ovviamente, è normale voler essere cauti quando questo ci viene proposto, anche perché l’abuso di farmaci è un problema comune, però se il medico lo suggerisce significa che in quel momento può essere di aiuto.

Certo, gli psicofarmaci (come anche i rimedi naturali) possono avere controindicazioni, però la vera dipendenza non è dal farmaco ma dalla malattia, che condiziona la nostra vita. Il disturbo che ci affligge è uno squilibrio neurochimico, una malattia come altre malattie. Per uscire da un tale momento di difficoltà è importante affidarsi a un professionista che ci accompagni in un percorso di guarigione.

“La felicità più grande non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarsi sempre dopo una caduta.”

Confucio

L’importanza della terapia

In conclusione, erbe e rimedi naturali sono sicuramente un’opzione da valutare nella terapia, senza dimenticare che anch’esse contengono principi chimici e quindi devono essere assunte con cautela.

Invece di comprare autonomamente questi rimedi in erboristeria o farmacia è necessario avere fiducia nel proprio terapista, valutando le alternative senza però stigmatizzare un utilizzo farmacologico che potrebbe essere la via più efficace verso la guarigione. Va quindi superata la paura che talvolta attanaglia la persona: “se devo prendere un farmaco allora significa che sono malato…” Il malessere è presente a prescindere. Non è il farmaco il problema ma il dolore che ci portiamo dentro. Il farmaco può essere quindi un “aiutante” nel percorso personale di guarigione, anche se da solo non basta: sta a noi iniziare un cammino verso lo stare meglio. 

Il vantaggio del farmaco, rimedio naturale o non, è che aiuta a ripristinare l’equilibrio neurochimico. La terapia va ad agire su questi stessi circuiti, lavorando dall’interno su schemi mentali, pensieri ed emozioni che stanno alla base dei malesseri. La terapia da sola però può avere tempi più lunghi e può essere quindi utile associarle una cura farmacologica. Ad esempio nella depressione l’umore migliora con i farmaci ma anche, parallelamente, grazie a esercizi di pensiero positivo e psicoterapia.

Quindi quando si prende un farmaco è importante che a questo si affianchi la terapia. Grazie a un percorso sviluppato con costanza, guidati dal medico, è infatti possibile migliorare e cambiare: bisogna solo fare il primo passo.

“Una torre alta nove piani incomincia con un mucchietto di terra. Un lungo viaggio di mille miglia si comincia col muovere un piede.

Lao Tzu
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Disfunzionalità del pensiero negativo

La maggior parte dei disturbi psicologici, come depressione, ansia o mancanza di autostima, hanno alla base un intricato sistema di pensieri negativi e non funzionali che nutrono e mantengono vivo il disagio. Individuare e cambiare questi pensieri, adottando un approccio differente è il primissimo passo per uscire dallo stato di sofferenza. Già nel precedente articolo abbiamo parlato dell’importanza di alimentare una prospettiva di pensiero positiva. Ma cosa significa esattamente pensare positivo e quali sono le sue proprietà? 

Cosa significa pensare positivo

In breve, pensare positivo significa pensare in modo più equilibrato e flessibile, focalizzandosi non in un solo punto di vista, ma molteplici.

Ti faccio un esempio: immagina di aver organizzato una cena con amici e di aver deciso di preparare per dessert la famosa torta di mele della nonna. La ricetta che non ti ha deluso neanche una volta; un successo assicurato. Vai in cucina e inizi a preparare tutto il necessario, mentre già visualizzi  la faccia estasiata dei commensali mentre assaporano con gusto il risultato del tuo lavoro. Ma quando hai ormai tutto pronto, ecco il dramma: mancano le mele.  Possiamo solo immaginare tutto quello che può essere passato nella mente in quel momento.

Ecco, serata rovinata! Adesso come faccio? Che dico?
Ma tra tutti gli ingredienti, proprio le mele dovevo dimenticarmi? Ma dove ho la testa?
Sicuramente è colpa di quella signora che ha iniziato a parlarmi nel reparto ortofrutta questa mattina e mi ha distratto! Mannaggia… Perchè succede sempre a me? Che ho fatto di male?

… e si può andare avanti all’infinito con questo vortice di pensieri negativi. Oppure? Si può cercare una soluzione. 

Posso infatti andare in cerca delle mele dal vicino di casa, uscire per comprarle, sostituire la ricetta o, eventualmente, decidere di non servire il dolce (non troppo consigliato). Ciò che è rilevante dall’esempio è che abbattersi e lamentarsi per un imprevisto non aiuta a migliorare la situazione che si sta vivendo ma, viceversa, la peggiora, trascinando la persona sempre di più in uno stato di frustrazione e sofferenza. Cercare una soluzione, compromesso o alternativa ci permette di affrontare le avversità della vita, di superarle e di uscirne rinforzati e addirittura trasformati positivamente.

E sfatiamo un mito: pensare positivo non significa negare la realtà!

La mentalità che c’è dietro il pensare positivo sostiene che quello che posso fare è sempre meglio di quello che non posso fare e, soprattutto, quello che posso fare è vivere in maniera diversa il presente. Pensare negativo non cambia la realtà come pensare positivo non la nega. Di fronte a un limite, una mentalità positiva ristruttura il proprio pensiero per trovare un’opportunità

Cosa ci blocca dal pensare positivo?

Sono diverse le ragioni che ci ostacolano dal pensare positivo e la maggior parte delle volte hanno origine nella storia di ogni individuo. Ciononostante, esistono alcuni meccanismi e abitudini comuni che sono particolarmente diffusi nella società moderna e risultano influenzare negativamente il nostro modo di pensare. 

Prepararsi al peggio per evitare la delusione
A quanti di noi è capitato di pensare in anticipo di essere bocciato ad un esame o ad una prova così da essere “preparato” in caso di fallimento?  Questo tipo di pensiero disfunzionale è comunissimo e viene spesso usato come pretesto per evitare la delusione del fallimento, come ad esempio nel caso pensassi di essere promosso e poi non succede. Il punto è che “preparandoci” negativamente a qualcosa, ci focalizziamo su uno scenario negativo ipotizzato e inesistente nel momento presente. Questo evita il paradosso della delusione ma al tempo stesso ci fa stare per più tempo in una emozione negativa.

Vedere il bicchiere mezzo vuoto invece che mezzo pieno
Vedere il bicchiere mezzo vuoto è il classico comportamento del pessimista. Tante volte tendiamo ad una attenzione selettiva solo sulle cose che non funzionano o non vanno bene. Ma, come nel prepararsi al peggio per evitare le delusioni, questo tipo di mentalità ci allena a focalizzarci solo sugli aspetti negativi della realtà, predisponendoci al peggio e adottando un comportamento di indifferenza e diffidenza agli aspetti positivi.

L’abitudine a lamentarci
Quando fa caldo vogliamo il freddo ma quando l’inverno arriva ecco che bramiamo l’estate. Ormai sembra quasi sia uno sport collettivo quello di trovare sempre il motivo della lamentela. Qualsiasi sia la nostra condizione, c’è sempre qualcosa di più che si potrebbe ottenere, una migliore sistemazione. Questo comportamento però è un dispendio inutile di energie: ci teniamo impegnati a tenere a bada emozioni che costruiamo noi da soli e che ci fanno solo star male.

Allenamento al pensiero positivo

Ok ma, fosse facile fare diversamente…

Sì, non è semplice diventare resilienti alla vita da un giorno all’altro cambiando modo di pensare, ma, come per tutte le cose, si può imparare. Tramite un costante allenamento, anche a piccole dosi, è infatti possibile migliorare e cambiare. 

Il segreto sta prima di tutto nel cominciare a valutare le cose diversamente, realizzare che i pensieri negativi disfunzionali non sono pensieri realistici e che, molto spesso, sono frutto della nostra percezione della realtà. In un momento di difficoltà si fa fatica a valutare le cose che non vanno in quanto si è ostacolati  dal proprio  stato d’animo. E’ importante quindi realizzare che le nostre reazioni di fronte ad un evento non dipendono direttamente dall’evento in sé, ma dalla nostra valutazione di esso. Questo ci permetterà di analizzare lucidamente ciò che viviamo e di conseguenza fare scelte adeguate e non autodistruttive. 

Esercizio pratico 

Per concludere voglio consigliarti qui di seguito un esercizio da fare ogni giorno che aiuterà a costruire passo per passo una mentalità positiva e funzionale. Ciò che devi fare è:

1)           Intercettare i pensieri disfunzionali: è il punto più critico, ossia rendersi effettivamente conto di pensare a concetti e frasi che ti stanno in qualche maniera ostacolando. 

2)           Visualizzazione: una volta intercettati, cerca di concretizzarli, a renderli reali e visibili. Puoi per esempio dire a voce quello che pensi, scrivere su un foglio i tuoi pensieri oppure associare qualcosa ad essi così da avere qualcosa di tangibile sul quale lavorare. 

3)           Ristrutturazione: a questo punto devi provare a riscriverli in maniera più costruttiva e positiva.

4)           Soluzione: non appena avrai dato un altro significato al pensiero, sarà più semplice trovare la soluzione alternativa.

All’inizio potrai trovare lento e macchinoso  seguire questo schema mentale, ma più ti sforzerai e ci lavorerai con costanza, più naturale diventerà, fino a quando non te ne renderai più conto e avrai sviluppato un modo di pensare funzionale. Ciò che devi sempre mantenere a mente è che le cose a volte vanno come devono andare e non come vogliamo! Noi però possiamo coglierne le opportunità e dare lo sprint anche nel momento di difficoltà. Riprendendo l’esempio della torta di mele, in questo caso invece di focalizzarci solo su ciò che manca, le mele, o colpevolizzarci per non essere stati abbastanza precisi etc… possiamo provare a cambiare ricetta, cercandone una in cui non servono le mele. Insomma ristrutturare l’azione perché abbiamo ristrutturato la lettura del fatto. D’altronde:

Se i fatti e la teoria non concordano, cambia i fatti.

Einstein
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