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Hikikomori: il ritiro sociale nell’adolescenza contemporanea

Nel panorama complesso dell’adolescenza contemporanea, un fenomeno emergente suscita particolare preoccupazione: l’hikikomori. Questa parola giapponese, derivata da “hiku” (ritirarsi) e “komoru” (nascondersi), descrive un comportamento estremo di isolamento sociale, tipicamente osservato tra giovani che si ritirano completamente dalla vita sociale e familiare, preferendo confinarsi in casa per lunghi periodi di tempo, talvolta anni.

L’adolescenza, da sempre considerata un periodo di crescita e maturazione, sembra invece oggi spesso contraddistinta da un ritiro verso un’interiorità che, anziché promuovere lo sviluppo individuale, rischia di condurre a un’auto-reclusione dannosa. Questo comportamento può essere influenzato da dinamiche familiari e sociali che non favoriscono una crescita autonoma e una sana separazione dai genitori. Questo fenomeno, sebbene originario del Giappone, sta assumendo contorni globali, influenzato dalle dinamiche culturali e sociali proprie di ogni contesto. È un riflesso delle tensioni interpersonali e delle pressioni educative che definiscono l’esperienza adolescenziale moderna, spesso amplificate dalle nuove tecnologie e dai social media, che possono fungere da doppio filo, facilitando la connessione e l’isolamento simultaneamente.

In Italia, l’Associazione Nazionale Hikikomori Italia stima che nella sola popolazione studentesca ci siano tra i 50.000 e i 100.000 hikikomori in fase 1. Questo suggerisce che tutte le stime quantitative sugli hikikomori in Italia fatte sinora dovrebbero essere riviste a rialzo. Fino a questo momento si è parlato di 100.000 casi nella penisola, considerando tutte le fasce d’età e i gradi di isolamento. Tuttavia, se davvero ce ne sono così tanti solo tra gli studenti, allora l’ipotesi più realistica è che in Italia gli hikikomori siano già oggi tra i 100.000 e i 200.000.

Le cause dietro l’hikikomori

Le cause dell’hikikomori sono complesse e multifattoriali. Oltre alle dinamiche familiari, possono contribuire fattori come elevati livelli di stress scolastico, difficoltà nelle relazioni interpersonali e la paura del giudizio sociale. L’adolescenza è un periodo cruciale in cui il processo di maturazione avviene attraverso l’apertura al sociale e lo spostamento del focus di riferimento dalla famiglia all’esterno. Tuttavia, i giovani che sviluppano il fenomeno dell’hikikomori possono percepire la casa come l’unico rifugio sicuro. Questa percezione li porta a isolarsi progressivamente dal mondo esterno per evitare situazioni che percepiscono come minacciose o stressanti.

È importante sottolineare che l’isolamento non riguarda solo il contesto sociale esterno, ma anche le relazioni familiari. Sebbene la casa diventi il luogo di rifugio, spesso vi è un isolamento anche dalle interazioni con i familiari. Gli hikikomori possono passare la maggior parte del tempo chiusi nelle loro stanze, limitando al minimo i contatti con i genitori e i fratelli. Questo isolamento estremo li porta a vivere in una sorta di bolla, in cui le uniche interazioni avvengono attraverso mezzi tecnologici come internet e i videogiochi. La famiglia, pur essendo fisicamente vicina, diventa un elemento marginale nella loro vita quotidiana.

Il ruolo della casa come rifugio è quindi ambivalente: da un lato offre un senso di sicurezza e protezione, dall’altro accentua l’isolamento e la disconnessione dal mondo esterno. Questo processo può essere ulteriormente aggravato dalla mancanza di interventi tempestivi e dalla difficoltà nel riconoscere i segnali di allarme. La percezione della casa come unico luogo sicuro rende difficile per gli hikikomori rompere il ciclo dell’isolamento e reintegrarsi nella società, poiché qualsiasi tentativo di uscire dalla loro zona di comfort può essere vissuto come estremamente stressante e minaccioso.

L’hikikomori non è solo un problema individuale, ma anche un fenomeno sociale che richiede un’analisi approfondita delle dinamiche culturali e sociali contemporanee. Le aspettative elevate e la competizione accademica possono contribuire a creare un ambiente stressante per i giovani, spingendoli verso comportamenti di isolamento come meccanismo di coping. Questa pressione per eccellere può portare gli adolescenti a sviluppare un senso di inadeguatezza e ansia, rendendo l’isolamento una scelta apparentemente necessaria per evitare il fallimento e il giudizio negativo.

Il ruolo dei genitori

Il ruolo dei genitori emerge come cruciale nell’analisi dell’hikikomori e dei suoi correlati fenomeni adolescenziali. Secondo diversi studi e analisi, i genitori giocano un ruolo significativo nel modellare le dinamiche familiari e l’ambiente educativo che possono influenzare il benessere emotivo e sociale dei loro figli. Alcuni genitori possono involontariamente promuovere una dipendenza emotiva nei propri figli, negando o minimizzando la necessità di confronti e conflitti sani durante la crescita. Questo comportamento può derivare dalla paura del “nido vuoto”, cioè la perdita del ruolo di caregiver dominante una volta che i figli crescono e diventano più indipendenti. Tale atteggiamento può contribuire a mantenere un ambiente familiare in cui i giovani non sviluppano pienamente le capacità di affrontare sfide e gestire autonomamente le loro emozioni e responsabilità.

Inoltre, le decisioni educative e relazionali dei genitori possono influenzare significativamente il percorso di sviluppo dei loro figli. Ad esempio, la scelta di pratiche educative iperprotettive come l’homeschooling o l’accompagnamento estremamente prolungato in ambienti come gli spogliatoi delle palestre, anche quando i figli hanno già acquisito la capacità di gestire tali situazioni autonomamente, può limitare le opportunità di crescita sociale e di autonomia. I genitori possono, dunque, contribuire a bloccare l’apertura dei figli verso l’esterno, sostenendo la dipendenza nei loro confronti. Questo avviene poiché vedono come positiva l’allungamento del rapporto di esclusività con i figli, quasi pensando che sia un segno di conferma della bontà della loro relazione.

Questa dinamica può essere riassunta nel concetto di “plus materno”, un eccesso di attenzione e cura da parte delle madri (o figure genitoriali in maniera più ampia) che può influenzare profondamente lo sviluppo emotivo e sociale dei loro figli. Un altro aspetto rilevante è l’associazione tra il plus materno e l’uso crescente delle reborn dolls, simulacri di neonati che riflettono un desiderio di maternità idealizzata e perfetta. Questi oggetti possono rappresentare un’estensione della cura e dell’amore materno ideale, ma allo stesso tempo possono perpetuare un modello di dipendenza emotiva e immobilità nei figli, simile alla relazione con una bambola che non cresce né si sviluppa.

Questa situazione può innescare un ciclo vizioso: la paura di aprirsi rallenta il momento dell’apertura al mondo esterno e, nel tempo, questa paura cresce sempre di più. La terapia psicologica rappresenta un’opzione, talvolta l’unica, per interrompere questo ciclo. Tuttavia, anche l’accesso alla terapia può incontrare notevoli resistenze, sia da parte dei genitori che dei figli. L’accettazione del bisogno di aiuto esterno può essere vista come un’ammissione di fallimento o come una minaccia all’equilibrio familiare esistente.

Nuove tecnologie immersive: un approccio terapeutico avanzato

L’adozione delle nuove tecnologie immersive, come la realtà virtuale (VR), sta emergendo come un approccio terapeutico innovativo per affrontare fenomeni complessi come l’hikikomori. Gli adolescenti che si isolano dal mondo possono beneficiare di ambienti virtuali controllati e sicuri, che offrono loro la possibilità di riavvicinarsi gradualmente alla realtà esterna, riducendo l’ansia e facilitando il recupero delle competenze sociali.

Il contesto mediato delle nuove tecnologie consente di creare una sorta di mediazione tra le paure del ragazzo e la realtà. Psicologicamente, si viene a costruire un ambiente di transizione che permette di sviluppare strategie per un adattamento più efficace alla realtà. La VR permette di simulare situazioni sociali realistiche in un contesto protetto, consentendo agli individui di esercitarsi a gestire interazioni sociali prima di affrontarle nel mondo reale. Questo approccio graduale è cruciale per gli hikikomori, poiché una transizione improvvisa al contatto sociale diretto può risultare troppo stressante. La VR consente di personalizzare le esperienze in base alle esigenze specifiche di ciascun individuo, rendendo possibile un trattamento su misura che tiene conto delle loro particolari paure e ansie.

Un ulteriore vantaggio significativo delle tecnologie immersive è la possibilità di monitorare e adattare in tempo reale l’esperienza dell’utente. I terapeuti possono osservare le reazioni degli adolescenti durante le sessioni di realtà virtuale e modificare gli scenari per renderli più o meno impegnativi a seconda delle necessità. Questo feedback immediato è essenziale per personalizzare il trattamento e garantire che ogni sessione sia il più efficace possibile.

L’approccio terapeutico con tecnologie immersive non mira solo a trattare i sintomi dell’isolamento, ma anche a promuovere un processo di crescita personale e di resilienza emotiva. Gli spazi virtuali, che sostituiscono o affiancano quelli fisici, possono fungere da centri terapeutici comunitari, offrendo luoghi frequentabili in qualsiasi momento e attività di gruppo che stimolano maggiormente l’interesse dei ragazzi autoreclusi. Inoltre, la possibilità di utilizzare avatar può mitigare l’ansia sociale e il sentimento di inadeguatezza, permettendo agli hikikomori di rappresentare se stessi in modo più confortevole.

Infine, la VR può anche supportare il trattamento delle fobie attraverso un’esposizione graduale agli stimoli disagianti. Questo metodo, noto come esposizione in realtà virtuale (VRET), combina gli aspetti positivi dell’esposizione in immaginazione e in vivo, fornendo un ambiente controllato e sicuro in cui gli individui possono affrontare le loro paure. La VRET ha dimostrato di essere più sicura e accettabile rispetto ai metodi tradizionali, con un tasso di abbandono significativamente inferiore.

Approcci terapeutici tradizionali e innovativi

Oltre alle tecnologie immersive, è fondamentale considerare anche approcci terapeutici tradizionali il supporto familiare. Questi metodi sono essenziali per identificare e affrontare le radici psicologiche dell’isolamento, fornendo agli adolescenti gli strumenti necessari per gestire l’ansia e migliorare le capacità relazionali.

La psicoterapia aiuta gli adolescenti a riconoscere e modificare i modelli di pensiero negativi e le credenze disfunzionali che alimentano il loro isolamento. Attraverso tecniche come la ristrutturazione cognitiva, gli individui imparano a sfidare le loro paure e a sviluppare strategie più efficaci per affrontare le situazioni sociali. Gli esercizi di esposizione graduale, in cui gli adolescenti sono incoraggiati a confrontarsi lentamente con le loro paure, sono particolarmente utili in questo contesto.

Il supporto familiare gioca un ruolo cruciale nel processo terapeutico. Coinvolgere i genitori e altri membri della famiglia aiuta a creare un ambiente domestico più comprensivo e favorevole alla crescita. I genitori possono essere educati a fornire un sostegno emotivo adeguato senza perpetuare la dipendenza. Il counseling familiare può facilitare una migliore comunicazione e risoluzione dei conflitti all’interno della famiglia, riducendo le dinamiche che possono contribuire all’isolamento dell’adolescente.

Un approccio combinato che integra metodi tradizionali e innovativi offre una strategia terapeutica più olistica e completa. Mentre la terapia tradizionale e il supporto familiare affrontano le componenti psicologiche e relazionali dell’isolamento, le tecnologie immersive possono facilitare la pratica e lo sviluppo delle abilità sociali in un ambiente sicuro e controllato. Questa combinazione di metodologie aumenta significativamente le possibilità di successo nel trattamento dell’hikikomori, offrendo agli adolescenti una via più sicura e sostenibile per reintegrarsi nella società.

Conclusioni

In definitiva, comprendere e affrontare l’hikikomori richiede un approccio multidisciplinare che tenga conto dei fattori psicologici, sociali e delle opportunità offerte dalle tecnologie emergenti. È fondamentale adottare una maggiore attenzione culturale e sociale per riconoscere i segnali precoci di isolamento. Questo fenomeno non si instaura in maniera improvvisa, ma si sviluppa lentamente e in modo insidioso, rendendo essenziale l’intervento tempestivo da parte di chi sta vicino ai giovani, come familiari, insegnanti e amici.

La strategia di “attendere per vedere come va” rischia di ritardare la presa di consapevolezza e di rendere più complesso l’intervento. La vera sfida consiste nel trovare il giusto equilibrio tra l’attesa e l’intervento, tra la naturale ritrosia adolescenziale e l’isolamento eccessivo, tra il rispetto per il mondo interiore di un giovane e la sua difficoltà a rompere autonomamente il guscio protettivo in cui si è rinchiuso. Psicologi e terapeuti devono adottare strategie innovative e personalizzate per supportare efficacemente i giovani affetti da questa condizione, aiutandoli a superare l’isolamento e a sviluppare pienamente le proprie potenzialità.

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Oltre la superficie: navigare l’Iceberg della conquista

Nella nostra società moderna, il concetto di successo è spesso semplificato e ridotto a una mera rappresentazione di vittoria e trionfo. I media, la cultura popolare e persino i nostri stessi ideali personali tendono a dipingere il successo come un obiettivo facilmente raggiungibile, dove la strada è stata spianata e le difficoltà sono state omesse. Tuttavia, questa visione distorta non tiene conto della complessità e della fatica che accompagnano il vero processo di conquista.

L’obiettivo di questo articolo è di andare oltre il risultato finale della conquista per descrivere i processi interni che conducono a tali risultati. È importante vedere i tentativi, così come i fallimenti, non come mattoni di fallimento che si accumulano nel nostro zaino impedendoci di avanzare, ma come pioli di una scala che aiutano a salire verso gli obiettivi prefissati.

Consideriamo l’iceberg: un’imponente massa di ghiaccio, dove solo una piccola frazione emerge sopra la superficie dell’acqua, visibile agli occhi del mondo. Questa parte visibile rappresenta il successo stesso, i risultati raggiunti, i traguardi conquistati e le ricompense ottenute. Tuttavia, quello che non viene immediatamente riconosciuto è la vastità degli strati sommersi, che costituiscono la vera essenza della conquista. Questi strati rappresentano i tentativi, le notti insonni, i sacrifici, le critiche, i dubbi e le iniziative audaci che permettono di crescere e avanzare.

Attraverso questo articolo, si intende illuminare questi strati sommersi, rivelando la complessità e il valore del percorso verso il successo. In questo modo, si spera di offrire una nuova prospettiva che permetta di apprezzare ogni singolo passo del viaggio, indipendentemente dalle difficoltà incontrate lungo il cammino.

Gli strati sommersi della conquista

Sotto la superficie dell’iceberg della conquista si nasconde un mondo ricco di sfumature, dove la vera essenza della lotta e della crescita si manifesta in tutta la sua complessità. Quando ci si trova in quella fase di lavorare su un fallimento, può sorgere un senso di confusione o sopraffazione, accompagnato da insonnia. Le notti insonni non sono solo un prodotto della tensione, ma anche un momento prezioso di riflessione e pianificazione. Durante queste ore oscure, la mente lavora instancabilmente per elaborare strategie, valutare opzioni e anticipare le sfide future. È un periodo di intenso lavoro interiore, dove ogni decisione e ogni azione vengono ponderate con cura e attenzione.

I sacrifici fanno parte integrante del percorso verso il successo. Possono manifestarsi in molteplici forme: rinunce personali, come il tempo trascorso lontano dalla famiglia o gli interessi sacrificati per dedicarsi completamente all’obiettivo; sacrifici professionali, come la rinuncia a opportunità più immediate per perseguire un obiettivo a lungo termine. Questi sacrifici richiedono coraggio e dedizione, ma sono spesso il prezzo da pagare per raggiungere il successo desiderato. È fondamentale considerare i sacrifici non solo come perdite, ma come investimenti preziosi nel proprio futuro, una parte inevitabile e necessaria del percorso verso il raggiungimento dei propri obiettivi.

La critica, sebbene possa essere dolorosa, è una componente essenziale del percorso di crescita personale. È attraverso il confronto con le opinioni e le valutazioni degli altri che possiamo acquisire una prospettiva più ampia e obiettiva sulle nostre azioni e sulle nostre scelte. Vedere la critica come un’informazione utile permette di utilizzarla per capire meglio ciò che si sta facendo e come lo si sta facendo. La critica costruttiva ci sfida a migliorare continuamente, a riconsiderare le nostre posizioni e a superare i nostri limiti, diventando uno strumento prezioso per il cambiamento, l’adattamento e l’evoluzione.

Infine, la lotta con la fiducia in sé stessi, i dubbi e le paure rappresenta un’altra dimensione cruciale del percorso verso il successo. Affrontare e superare questi ostacoli richiede coraggio e determinazione. È solo attraverso iniziative audaci e coraggiose che possiamo spingere oltre i confini della nostra comfort zone e raggiungere nuove vette di realizzazione personale.


La resilienza e la determinazione

Nel percorso verso il successo, la fatica della conquista va ben oltre il mero sforzo fisico o l’impegno prolungato. È un viaggio che richiede una resilienza straordinaria e una determinazione incrollabile di fronte alle molteplici sfide e delusioni che inevitabilmente incontriamo lungo il cammino. Tuttavia, non è solo la resistenza, cioè il resistere a tutti i costi, né il perseverare, cioè ripetere un’azione nonostante le difficoltà, a creare la capacità di stare in un processo di conquista.

La resilienza è la capacità di affrontare le difficoltà e di adattarsi alle avversità senza soccombere. È quel potente motore interiore che ci permette di rimanere saldi anche di fronte alle tempeste più violente. Quando le cose non vanno come sperato, quando incontriamo ostacoli imprevisti o subiamo fallimenti, è la resilienza che ci permette di rialzarci, di imparare dalle esperienze e di continuare a muoverci avanti.

Ma la resilienza da sola non è sufficiente. È necessario anche un’impegnativa dose di determinazione per perseverare verso i nostri obiettivi nonostante le avversità. La determinazione è quella fiamma interiore che ci tiene accesi, che ci spinge a non arrenderci di fronte alle difficoltà, a non cedere al pessimismo o alla disperazione.

Tuttavia, queste qualità devono essere integrate con la capacità di cambiamento. La vera conquista non risiede nella pura ripetizione perseverante o nella semplice resistenza, ma nella ripetizione che è basata sull’esperienza e che porta a un cambiamento. È un processo dinamico che, pur mantenendosi coerente, evolve perché si impara dagli errori. Se da un errore impariamo, il tentativo successivo, pur ripetendo lo stesso processo, deve riflettere un cambiamento; altrimenti, quell’errore rimane inutile e la ripetizione diventa vana.

Per sviluppare resilienza, determinazione e capacità di cambiamento, è essenziale una profonda consapevolezza di sé. È importante riconoscere i nostri limiti e le nostre vulnerabilità, ma anche i nostri punti di forza e le nostre risorse interiori. La consapevolezza di sé ci permette di identificare le nostre debolezze e di lavorare su di esse, ma anche di sfruttare appieno i nostri talenti e le nostre capacità per superare gli ostacoli che incontriamo lungo il percorso.

Inoltre, una determinazione incrollabile richiede anche una chiara visione dei nostri obiettivi e dei nostri valori. Quando abbiamo una direzione chiara e un motivo profondo che ci spinge avanti, diventa più facile rimanere focalizzati e determinati anche di fronte alle sfide più difficili. La capacità di cambiare e adattarsi, di imparare dagli errori e di evolvere, è ciò che trasforma la semplice resistenza e perseveranza in un vero percorso di crescita e successo.

Il ruolo della fortuna: oltre la casualità

La fortuna può certamente giocare un ruolo significativo nel nostro percorso verso il successo, ma non possiamo affidarci unicamente ad essa. È vero che a volte ci troviamo nel posto giusto al momento giusto, ma è ciò che facciamo con quelle opportunità che determina il nostro destino a lungo termine. Tuttavia, oltre alla fortuna, c’è un altro fattore cruciale che spesso entra in gioco: la paura. La paura di ciò che potrebbe accadere, delle conseguenze di determinate scelte, è una forza potente che ci può bloccare dal cogliere le opportunità. È una paura proiettata nel futuro che ci impedisce di provare, di usare e di cogliere l’occasione.

È fondamentale crescere nella fiducia in sé stessi e nelle proprie capacità di affrontare le nuove sfide. L’accettazione dell’incertezza e la consapevolezza che non possiamo avere tutto sotto controllo sono elementi essenziali per superare la paura del nuovo, la paura di non essere capaci e la paura di fallire. Questi timori sono ostacoli che possono impedirci di cogliere le opportunità che la cosiddetta signora fortuna ci mette davanti. L’impegno, la dedizione e la resilienza sono gli ingredienti essenziali che trasformano la fortuna in successo duraturo. Mentre la fortuna può aprirci porte, è la nostra determinazione, il nostro impegno e la capacità di superare la paura che ci consentono di attraversarle e di creare risultati significativi.

Una prospettiva terapeutica: accettazione e crescita

Come professionisti della mente, abbiamo il privilegio e la responsabilità di accompagnare i nostri pazienti nel loro viaggio di crescita personale. Questo comprende anche aiutarli a comprendere e ad accettare la fatica della conquista come parte integrante del processo. Spesso, le persone possono sentirsi scoraggiate dai fallimenti e dalle sfide incontrate lungo il cammino. È qui che entriamo in gioco, incoraggiandoli a essere compassionevoli con se stessi, a celebrare ogni piccolo progresso e a imparare dagli ostacoli.

La crescita personale non è sempre un percorso lineare, ma piuttosto un’esperienza ricca di alti e bassi. Dobbiamo guidare i nostri pazienti verso una comprensione più profonda di sé stessi e dei loro processi emotivi, aiutandoli a sviluppare una maggiore resilienza e una prospettiva positiva sulla loro esperienza. Celebrare i piccoli successi e apprendere dagli errori sono elementi cruciali per il loro sviluppo e per il raggiungimento di una maggiore realizzazione personale.

Quindi, mentre continuiamo il nostro viaggio di conquista, ricordiamoci sempre di guardare oltre la superficie. Non lasciamoci ingannare dalle apparenze superficiali del successo, ma cerchiamo la profondità e la sostanza che si nasconde al di sotto. Solo allora potremo veramente apprezzare il valore del nostro percorso e celebrare il nostro impegno nel perseguire i nostri sogni e obiettivi con determinazione e fiducia.

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Abitudini positive: la chiave per una vita equilibrata

Le abitudini, quei comportamenti che diventano parte integrante della nostra routine quotidiana, sono una componente fondamentale della nostra vita. Il processo attraverso il quale il nostro cervello traduce una sequenza di azioni in una routine automatica è noto come “chunking”. Questo meccanismo di acquisizione di unità d’informazione è alla base della formazione delle abitudini.

Il processo di formazione delle abitudini

Ogni giorno, ci troviamo a dipendere da una vasta gamma di unità d’informazione comportamentali, che variano dalla semplicità di gesti automatici come allacciarsi le scarpe a complessi rituali quotidiani come la preparazione della colazione per i nostri cari. Queste azioni, seppur differiscono in complessità, condividono una caratteristica fondamentale: la capacità del nostro cervello di trasformarle in routine automatiche. Questo meccanismo di acquisizione di unità d’informazione diventa il fondamento stesso della formazione delle abitudini.

Il processo circolare che accompagna la formazione di un’abitudine è suddiviso in tre fasi distintive: il segnale, la routine e la gratificazione. Iniziamo con il riconoscimento di un segnale, un trigger che avverte il nostro cervello di entrare in modalità automatica e inizia il processo abitudinario. La routine rappresenta l’esecuzione dell’azione stessa, che può manifestarsi a livello fisico, emotivo o mentale. Infine, la gratificazione svolge un ruolo chiave nell’assegnare valore all’intero processo. È attraverso la gratificazione che il nostro cervello decide se vale la pena memorizzare e perpetuare l’abitudine. Una volta attivata l’abitudine, il nostro cervello ottimizza il consumo di energia, permettendoci di concentrarci su altre attività senza dover investire nuovamente risorse cognitive.

Abitudine e risparmio energetico

Il cervello, in tutta la sua complessità, è incessantemente impegnato nella ricerca di nuovi modi ed efficienti strategie per risparmiare energia. Le abitudini emergono come uno strumento evolutivo attraverso il quale il cervello cerca di massimizzare i risultati ottenuti con il minimo sforzo possibile. Questo meccanismo intrinseco, sebbene vantaggioso per la nostra sopravvivenza quotidiana, può rivelarsi pericoloso se non gestito con attenzione.

In particolare, la formazione di abitudini e il conseguente risparmio energetico possono portare a una sorta di “sonnolenza” mentale, rendendoci meno consapevoli delle situazioni cruciali che richiedono la nostra attenzione. Il cervello, tuttavia, ha evoluto un sistema di autoregolazione intelligente per mitigare questo rischio. Esso si attiva agli estremi della sequenza abitudinaria, al momento del segnale e della gratificazione, per assicurarsi che la consapevolezza rimanga al centro delle nostre azioni. È un delicato equilibrio tra risparmio energetico e necessità di vigilanza, con il nostro cervello che decide quando è opportuno lasciare che le abitudini guidino le nostre azioni e quando è il momento di recuperare la piena consapevolezza.

Buone norme per la formazione delle abitudini

Nel contesto psicoterapeutico, l’approccio di William James alle buone norme per la formazione delle abitudini rivela una profonda comprensione delle dinamiche mentali e comportamentali. Iniziare con un buon inizio è più che un semplice avvio; rappresenta il fondamento di un cambiamento duraturo. La forte motivazione e la determinazione mentale sottolineano la necessità di connetterci emotivamente all’obiettivo. Nella psicoterapia, questo significa esplorare le radici emotive dietro il desiderio di cambiamento e lavorare insieme al paziente per coltivare una motivazione intrinseca. La consapevolezza della fatica che può insorgere è essenziale, poiché permette di affrontare e superare gli ostacoli con resilienza. La vera potenza trasformativa risiede nella ripetizione di questo cambiamento fino a quando non diventa un’abitudine, uno schema comportamentale automatico e integrato. Il paziente è incoraggiato a comprendere che l’instaurazione di una nuova abitudine richiede tempo e costanza. È solo attraverso la ripetizione e la pratica che si raggiunge la trasformazione desiderata.

L’obiettivo della terapia è quindi quello di assistere il paziente nel comprendere questo processo e nel pianificare l’implementazione di abitudini positive. Ciò implica stabilire regole e impegnarsi a seguirle, anche se inizialmente richiedono sforzo e autocontrollo. Con il tempo e la ripetizione, queste azioni diventano più naturali e spontanee, proprio perché si trasformano in abitudini automatiche. Tuttavia, affinché questo processo sia efficace, è essenziale che ci sia una motivazione intrinseca che guidi il paziente nel suo percorso di cambiamento.

Mantenere una pratica regolare è un pilastro nel processo di formazione di abitudini positive. Nell’ambito psicoterapeutico, ciò potrebbe tradursi nell’implementazione di tecniche o strategie specifiche. Ad esempio, un paziente impegnato nella gestione dello stress potrebbe essere incoraggiato a praticare la respirazione profonda o la mindfulness regolarmente. L’evitare interruzioni è cruciale: nella terapia, ciò potrebbe implicare un’esplorazione approfondita delle resistenze e la messa in atto di strategie per superarle. La scelta di un ambiente favorevole può essere interpretata come la creazione di un contesto terapeutico sicuro e di supporto, dove il paziente si sente incoraggiato a esplorare e adottare nuovi comportamenti senza giudizio.

Non fermarsi fino al raggiungimento dell’obiettivo sottolinea l’importanza di mantenere la costanza e la persistenza nel processo terapeutico. Questo suggerisce una collaborazione a lungo termine tra terapeuta e paziente, affrontando progressivamente le sfide e celebrando i successi, anche quelli apparentemente piccoli. L’obiettivo finale potrebbe essere ridefinito nel corso del tempo, in base all’evoluzione delle esigenze del paziente, creando un approccio flessibile e personalizzato.

Spezzare l’abitudine

Un aspetto cruciale nel processo terapeutico è la valutazione delle abitudini del paziente. È essenziale riconoscere che il risparmio energetico, sebbene benefico per le abitudini positive, può avere conseguenze negative quando applicato a comportamenti dannosi. Il fulcro dell’intervento terapeutico è dunque analizzare attentamente se le abitudini del paziente siano virtuose o viziose.

Le abitudini negative tendono a perpetuare il danno, creando un ciclo vizioso di comportamento dannoso. Al contrario, le abitudini positive innescano un meccanismo virtuoso che promuove il benessere e il cambiamento positivo. La terapia mira a facilitare questo processo di trasformazione, ponendo l’accento sul primo passo fondamentale: impostare un cambiamento. L’idea di spezzare un’abitudine consolidata, specialmente a livello psicoterapeutico, richiede un’analisi attenta e sensibile. L’apprendimento basato sulla ricompensa emerge come un paradigma potente per favorire il cambiamento. Invece di concentrarsi esclusivamente sull’autocontrollo, l’attenzione alla ricompensa spinge il paziente a collegare chiaramente le azioni intraprese con i risultati desiderati. La psicoterapia potrebbe quindi incorporare l’esplorazione delle gratificazioni intrinseche e estrinseche associate ai comportamenti, consentendo al paziente di sviluppare una visione più completa e motivante del cambiamento.

La consapevolezza diventa il filo conduttore attraverso il quale il processo di “rimodellamento” avviene. Il terapeuta, insieme al paziente, esplora le dinamiche sottostanti che sostengono l’abitudine consolidata, portando alla luce schemi di pensiero e comportamenti automatici. Questo livello di consapevolezza apre la porta alla possibilità di adottare una nuova prospettiva sulla situazione, aprendo la strada a scelte e comportamenti alternativi.

Il focus sulla ricompensa potrebbe anche coinvolgere la definizione di obiettivi specifici e la creazione di un sistema di rinforzo positivo per incoraggiare progressivamente il cambiamento. L’approccio è basato sulla comprensione che, mentre l’autocontrollo può vacillare sotto lo stress, il cervello è suscettibile alla gratificazione, offrendo una leva preziosa per modellare nuovi comportamenti. La consapevolezza, quindi, si trasforma in uno strumento potente per il cambiamento, consentendo al cervello di adattarsi e adottare nuovi modelli di comportamento più adatti e desiderati.

Perché non possiamo semplicemente controllarci?

L’affermazione della dottrina dell’autocontrollo ha permeato la nostra cultura per anni, invitandoci a credere che, in qualsiasi situazione, dovremmo essere in grado di controllare le nostre azioni con pura forza di volontà. Tuttavia, la ricerca neuroscientifica ci ha aperto gli occhi su una realtà più complessa. Le reti cerebrali coinvolte nell’autocontrollo, cruciali nel mantenere comportamenti desiderati e resistere alle tentazioni, sono fra le prime a “staccarsi” durante situazioni di stress.

Il cervello, complesso e adattabile, reagisce allo stress disattivando temporaneamente le regioni deputate all’autocontrollo. Questo fenomeno può spiegare perché, sotto pressione o in momenti di forte emozione, ci ritroviamo a cedere a comportamenti indesiderati nonostante la nostra ferma volontà di resistere. Ad esempio, potremmo trovare difficile trattenere una reazione impulsiva durante una discussione accesa o resistere a una cattiva abitudine quando ci sentiamo sopraffatti.

La chiave per superare questa sfida risiede nella consapevolezza. Capire che le reti cerebrali dell’autocontrollo possono diventare “offline” in certi contesti ci permette di adottare un approccio più compassionevole verso noi stessi. La consapevolezza di questo processo neurologico ci offre l’opportunità di esplorare nuovi approcci per gestire lo stress e le emozioni intense, anziché cercare di forzare il controllo.

Spostare l’approccio dalla disciplina all’apprendimento basato sulla ricompensa

Il concetto di spostare l’approccio dalla disciplina all’apprendimento basato sulla ricompensa rappresenta una svolta significativa nella nostra comprensione del cambiamento comportamentale. Invece di concentrarsi esclusivamente sull’autocontrollo, si propone di abbracciare una prospettiva che coinvolge il cervello attraverso incentivi positivi.

L’apprendimento basato sulla ricompensa sottolinea che quanto sia gratificante un comportamento determina la probabilità di ripeterlo in futuro. In contesti psicoterapeutici, questo approccio può essere applicato attraverso il riconoscimento e la valorizzazione dei progressi, la definizione di obiettivi realistici e l’implementazione di sistemi di rinforzo positivo. La consapevolezza gioca un ruolo cruciale in questo processo, consentendo al paziente di riconoscere le ricompense associate ai comportamenti desiderati.

Guardare chiaramente cosa si ottiene dalla modifica di un comportamento consente di creare una connessione diretta tra azione e risultati. Nel contesto terapeutico, questo potrebbe implicare la riflessione su come un cambiamento comportamentale può migliorare la qualità della vita del paziente o contribuire al raggiungimento dei suoi obiettivi. La consapevolezza continua di questi benefici offre un incentivo costante per mantenere il cambiamento a lungo termine.

Infine, trovare un’offerta migliore implica la ricerca di nuovi modi gratificanti per sostituire comportamenti indesiderati. La consapevolezza gioca ancora una volta un ruolo cruciale nell’aiutare il paziente a esplorare alternative più soddisfacenti e salutari. Invece di focalizzarsi solo sulla rinuncia, si incoraggia il paziente a concentrarsi sulle nuove opportunità e ricompense che un cambiamento positivo può portare nella sua vita. Questo approccio non solo facilita il processo di adattamento, ma sostiene anche il desiderio intrinseco del cervello di cercare offerte più ampie ed efficienti.

Conclusione

In esplorare il mondo complesso delle abitudini e del cambiamento comportamentale, emerge una verità fondamentale: siamo creature guidate dalla nostra biologia, plasmate da abitudini che, nel corso del tempo, diventano parte intrinseca della nostra quotidianità.

Partire da un buon inizio con motivazione e determinazione mentale, mantenere una pratica regolare senza interruzioni, creare un ambiente favorevole e perseverare fino al raggiungimento dell’obiettivo costituiscono le pietre miliari per la formazione di abitudini durature e positive.

Tuttavia, l’ostacolo dell’autocontrollo sottolinea la complessità della nostra psiche. Le reti cerebrali che supportano l’autocontrollo si disattivano sotto stress, sfidando la concezione tradizionale di semplice forza di volontà. La chiave per superare questa sfida risiede nella consapevolezza e nell’adozione di un approccio basato sull’apprendimento e sulla ricompensa. In questo modo, ci spostiamo dalla disciplina rigida a un modello più flessibile e incentrato sul riconoscimento positivo.

Nella sfida di spezzare abitudini consolidate, la consapevolezza continua a essere il faro che illumina il cammino del cambiamento. Spostare il focus sulla ricompensa permette di creare collegamenti chiari tra azione e risultati desiderati. La consapevolezza ci guida attraverso il processo di “rimodellamento,” consentendo al cervello di adattarsi e abbracciare nuovi modelli di comportamento più adatti e gratificanti.

In definitiva, il percorso per formare abitudini positive e superare quelle indesiderate richiede una combinazione di motivazione intrinseca, pratica costante, consapevolezza e una prospettiva centrata sulle ricompense. Nel viaggio della crescita personale, possiamo trasformare il nostro rapporto con le abitudini, coltivando uno stile di vita che ci eleva e ci avvicina sempre di più al benessere mentale e emotivo.

Bibliografia

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Autostima e percezione sociale: come la fiducia in sé influenza il giudizio altrui

Nel contesto dell’approccio psicoterapeutico, l’autostima emerge come un elemento centrale nell’analisi dell’individuo e delle sue dinamiche interne. Questo concetto, definito come l’insieme dei giudizi valutativi che l’individuo formula su sé stesso, costituisce il fondamento su cui si costruisce l’identità e la percezione di sé (Battistelli, 1994).

Fin dai primi passi della nostra esistenza, sviluppiamo una percezione di noi stessi attraverso le interazioni con il mondo esterno. Questo processo di rispecchiamento sociale, secondo cui l’altro diviene uno specchio attraverso il quale definiamo noi stessi, modella il nostro concetto di sé. In questo modo, la nostra autopercezione si configura come un mosaico di influenze esterne che plasmano l’immagine che abbiamo di noi stessi.

Autostima e autoefficacia

La struttura del concetto di sé influisce direttamente sul nostro modo di affrontare e interpretare la realtà circostante. Le decisioni che prendiamo e le azioni che intraprendiamo sono guidate dalla nostra autostima, che agisce come filtro tra il nostro mondo interiore e il mondo esterno. Di conseguenza, l’autostima si trasforma in un processo in evoluzione continua, in cui le interazioni con l’ambiente esterno contribuiscono a rafforzare o mettere in discussione la nostra valutazione di sé.

Tuttavia, il processo di sviluppo dell’autostima non è statico. Attraverso un impegno costante nell’esplorazione di sé stessi e nell’adattamento ai cambiamenti, è possibile migliorare e perfezionare la percezione che abbiamo di noi stessi. Il lavoro su sé stessi implica liberarsi dai condizionamenti negativi accumulati nel corso del tempo e ristrutturare il dialogo interiore, aprendo la strada a un’autostima più salda e consapevole.

In questo contesto, la fiducia in sé stessi emerge come un pilastro cruciale. La fiducia, in questo caso, rappresenta la convinzione profonda che siamo in grado di affrontare le sfide e le prove che la vita ci presenta. È un’aspirazione interiore di sicurezza e certezza nelle proprie capacità. È interessante notare che l’autostima e la fiducia in sé stessi si alimentano reciprocamente. Mentre la fiducia in sé stessi può aumentare l’autostima, una buona autostima può favorire una maggiore fiducia nelle proprie abilità. Questo concetto è parallelo a quello di “percezione d’autoefficacia personale”, enfatizzato da alcuni autori, come Albert Bandura.

Nell’ambito psicoterapeutico, l’analisi dell’autostima e della fiducia in sé stessi rivela un intricato legame tra la percezione interna e il modo in cui l’individuo si relaziona con il mondo esterno. L’autostima infatti, oltre ad avere un impatto diretto sul nostro modo di interpretare la realtà, ha anche un’influenza significativa sull’immagine che proiettiamo agli altri. Il modo in cui ci percepiamo internamente si riflette inevitabilmente nei nostri comportamenti, espressioni e atteggiamenti verso gli altri.

Questo legame tra autostima e percezione altrui crea un ciclo interattivo: la nostra autostima influenza il nostro comportamento sociale, che a sua volta determina le reazioni e i feedback che riceviamo dagli altri. Questo circolo vizioso può essere interrotto attraverso l’autoconsapevolezza e il lavoro su sé stessi. L’autoanalisi delle proprie convinzioni limitanti e la pratica di nuovi modelli di comportamento possono contribuire a cambiare il modo in cui ci percepiamo e veniamo percepiti dagli altri. Attraverso l’adattamento e la crescita personale, è possibile trasformare un circolo vizioso in un circolo virtuoso, in cui la fiducia in sé stessi si traduce in interazioni più positive e in una maggiore autostima, alimentandosi reciprocamente per un benessere psicologico duraturo.

Bassa autostima, origini

Le radici della bassa autostima spesso si intrecciano con le esperienze dell’infanzia, creando un impatto duraturo sulla percezione di sé nell’età adulta. L’infanzia, in particolare, svolge un ruolo cruciale nella formazione dell’autostima. Le interazioni con genitori, caregiver e coetanei possono lasciare un’impronta profonda nella psiche dell’individuo. Ad esempio, un ambiente familiare in cui prevale la critica e l’insicurezza può generare un’autostima fragile e negativa. Similmente, il bullismo o l’abuso subito durante l’infanzia possono influenzare la percezione di sé, erodendo la fiducia e promuovendo pensieri negativi.

L’elaborazione di queste esperienze attraverso la terapia può essere un passo cruciale verso la guarigione e il rafforzamento dell’autostima. Con il sostegno di un terapeuta competente, gli individui possono apprendere nuovi modi di affrontare il passato, riscoprire la propria forza interiore e sviluppare una visione più equilibrata e positiva di sé stessi.

Autostima e salute mentale

Una bassa autostima può generare un complesso spettro di implicazioni negative per la salute mentale. Queste implicazioni si riflettono in una serie di sintomi e sfide che possono erodere il benessere psicologico e ostacolare il funzionamento globale dell’individuo.

È infatti spesso associata a sintomi depressivi, caratterizzati da umore depresso persistente, perdita di interesse per le attività, fatica e sentimenti di inutilità. Questa relazione è radicata nell’autovalutazione negativa che spesso accompagna la bassa autostima, contribuendo all’insorgenza di emozioni depressive. Inoltre può innescare manifestazioni ansiose, evidenziando un senso di inadeguatezza e una paura costante di essere giudicati negativamente dagli altri. Questa ansia sociale può limitare le interazioni sociali e generare sentimenti di isolamento, alimentando ulteriormente il ciclo negativo.

Le persone con bassa autostima possono anche manifestare distorsioni cognitive, ossia percezioni distorte della realtà. Questi schemi di pensiero possono amplificare la negatività interna, alimentando la critica e l’autosvalutazione. La continua autocritica può sfociare in un atteggiamento di autosabotaggio, con l’evitamento delle opportunità di crescita personale e professionale. I disturbi alimentari e l’abuso di sostanze possono anche derivare da una bassa autostima, poiché l’individuo cerca di far fronte ai sentimenti di vuoto e insoddisfazione attraverso comportamenti distruttivi. Questi comportamenti possono portare a un circolo vizioso in cui la bassa autostima alimenta i sintomi e viceversa.

È importante sottolineare che queste conseguenze mentali negative possono interagire e amplificarsi reciprocamente, creando un quadro complesso di difficoltà psicologiche. La terapia psicologica svolge un ruolo cruciale nell’affrontare queste implicazioni, lavorando per ristrutturare le credenze limitanti, sviluppare strategie di coping più sane e promuovere la costruzione di un’autostima più resiliente e adattativa.

Costruire la fiducia in sé stessi

La costruzione della fiducia in sé stessi è un processo fondamentale all’interno dell’ambito psicoterapeutico, rivestendo un ruolo cruciale nell’evoluzione individuale e nel miglioramento del benessere psicologico. Questo processo richiede un impegno consapevole, pazienza e una profonda auto-riflessione, focalizzandosi sulla sfida e il superamento delle convinzioni limitanti che possono erodere l’autostima.

Un primo passo nella costruzione della fiducia in sé stessi consiste nell’analisi critica delle credenze negative che si radicano nel subconscio. La psicoterapia offre uno spazio sicuro per esplorare e mettere in discussione queste convinzioni autodistruttive, permettendo all’individuo di sostituirle con pensieri più realistici e positivi. Questa ristrutturazione cognitiva aiuta a liberarsi da schemi mentali auto-sabotanti, aprendo la strada a un’autostima più solida.

Inoltre, attraverso il lavoro terapeutico, gli individui possono esplorare le proprie origini, esperienze passate e influenze sociali che hanno contribuito a modellare la loro percezione di sé. Questa consapevolezza permette di affrontare i fattori che potrebbero aver contribuito alla mancanza di fiducia, favorendo un processo di accettazione e di rielaborazione del proprio sé.

Inoltre, è possibile adottare una serie di strategie mirate:

  • Pratica dell’autocompassione: Trattare sé stessi con gentilezza e tolleranza, accettando le imperfezioni senza giudizio critico. La terapia può aiutare a riconoscere e modificare i modelli di pensiero autodistruttivi.
  • Focalizzazione sulle proprie forze: Identificare e celebrare i successi personali, grandi o piccoli, per costruire una solida base di fiducia in sé stessi.
  • Pratica della mindfulness: Coltivare l’attenzione consapevole al momento presente, smorzando il dialogo interno critico.
  • Coltivare relazioni positive: Costruire legami interpersonali solidali e positivi può contribuire a una percezione più positiva di sé. La terapia di gruppo offre un contesto per condividere esperienze ed ottenere feedback costruttivo.
  • Esplorazione dell’autenticità: Accettare e abbracciare la propria autenticità, riconoscendo che la perfezione non è l’obiettivo.
  • Sfida delle convinzioni limitanti: Indagare e ristrutturare le convinzioni negative che minano l’autostima. La terapia può essere utile nell’affrontare queste convinzioni dannose.
  • Crescita personale continua: Considerare l’autostima come un percorso in evoluzione, impegnandosi costantemente nel miglioramento personale.

Conclusione

In definitiva, l’aumento dell’autostima richiede l’adozione di un approccio multidimensionale che coinvolga il lavoro su pensieri, emozioni e relazioni interpersonali. La crescita personale, nel contesto della psicoterapia, è fortemente legata alla teoria dell’autorealizzazione proposta da Maslow. L’autorealizzazione, il vertice della piramide dei bisogni di Maslow, si riferisce al processo di diventare la versione più autentica di sé stessi e di sviluppare appieno le proprie potenzialità. Attraverso la terapia, gli individui possono intraprendere questo percorso, liberandosi da vincoli emotivi, connettendosi con il loro nucleo interiore e creando una vita più significativa e soddisfacente.

“L’autostima non è narcisismo; è un prerequisito per l’amore sano e l’empatia verso gli altri.”

– Nathaniel Branden

Bibliografia

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Cosa c’è dietro la perfezione dei perfetti?

Il disturbo d’ansia di solito è ben riconoscibile. Un attacco di panico è difficilmente dimenticabile mentre chi soffre di ansia generalizzata, ad esempio, vive una vita in un perenne stato di agitazione, caratterizzata da preoccupazioni e pensieri debilitanti costanti. 

Eppure esiste un tipo d’ansia che si maschera dietro comportamenti di persone  apparentemente di successo, performanti, produttive; i cosiddetti “bravi”, perfetti in ogni aspetto della loro vita. Questo tipo d’ansia viene comunemente chiamato ansia ad alto funzionamento e, sebbene sia difficile da identificare, è più frequente di quanto si pensi. 

Ma andiamo con ordine e capiamo come si manifesta, crea e risolve questo disagio psicologico.

Come si manifesta

L’ansia ad alto funzionamento è una forma di ansia che possono vivere quelle persone che sono alla costante ricerca della perfezione in tutto ciò che fanno. Sono l’immagine del successo: sempre presenti, preparati, puntuali e impeccabili. Può sembrare che questo tipo di ansia sia una buona cosa, che in qualche modo renda più facile fare le cose o avere successo. 

Ma non è tutto oro quello che luccica!  

Ciò che si nasconde sotto la superficie di un aspetto apparentemente perfetto, è un turbinio di ansie costanti. A differenza da altri disturbi d’ansia, chi soffre di ansia ad alto funzionamento calma queste preoccupazioni colmando le loro giornate di lavoro e impegni senza dedicarsi un momento di pausa. 

Le caratteristiche dell’ansia ad alto funzionamento possono essere percepite dagli altri come parte della personalità. Altre caratteristiche dell’ansia ad alto funzionamento, invece, sono interne e potrebbero non essere mai notate dagli altri, nonostante causino molto stress.

Caratteristiche principali
  • Bisogno di piacere e confrontarsi con gli altri
    • Paura di allontanare o deludere le persone, di essere un cattivo amico, coniuge e dipendente; paura di deludere gli altri, di non all’altezza delle aspettative; necessità di rassicurazione chiedendo indicazioni più volte o controllando frequentemente gli altri.
  • Costante sovraccarico di impegni
    • Incapacità di dire “No”, rilassarsi e “godersi il momento”
  • Pensiero eccessivo
    • Ruminazione e tendenza a soffermarsi sul negativo
  • Gestione del tempo non ottimale
    • Tempo perso arrivando troppo presto agli appuntamenti o procrastinazione seguita da lunghi periodi di lavoro intenso
  • Stanchezza mentale-fisica e insonnia
    • Difficoltà ad addormentarsi o svegliarsi presto e non essere in grado di riaddormentarsi
  • Vita sociale limitata
    • Rifiutare gli inviti
  • Difficile da leggere
    • Altri pensano che tu sia stoico, privo di emozioni, freddo

Come si crea 

L’origine di questo disturbo viene di solito associata al contesto sociale ed economico nel quale viviamo che spinge l’individuo alla performance, a dare il massimo e mostrare risultati tangibili e costanti. Si pensa che sia il sistema scolastico o l’ambiente lavorativo ad essere tossico e disfunzionale. Tuttavia, sebbene abbia grande rilevanza, è solo una parte del problema

Questa ricerca della perfezione, infatti, ha inizio soprattutto nell’educazione familiare guidata, ad esempio, dal classico concetto “se mi vuoi bene devi andare bene a scuola”. Considerando il ruolo determinante della famiglia nello sviluppo psicologico di ogni individuo, specialmente in tenera età,  questa apparente innocua frase motivazionale può dare il via di una connessione logica-mentale dannosa: se non si dà prestazioni, si va a deludere o a rovinare il rapporto con il genitore o la persona cara.  Si iniziano a creare quindi le basi di una gabbia da auto mantenere, un circolo vizioso che si autoalimenta con il tempo. 

Ansia ad alto funzionamento e Autostima

L’ansia ad alto funzionamento, difatti, ha profonde radici a livello di autostima. È un meccanismo che fa confondere il valore con la prestazione, la mentalità di crescita con il bisogno di mantenere l’immagine di sé. Ci si sente adeguati solo quando si ottengono risultati, come se fossero essi a definire il valore della persona e non l’essere in sé. Di conseguenza, questi risultati vengono immediatamente e automaticamente giudicati considerando un’ottica esterna, quella delle altre persone, ignorando il vero significato personale di essi. 

Una persona con ansia ad alto funzionamento raggiunge il successo non tramite una sana consapevolezza delle proprie potenzialità, motivazione e perseveranza, ma tramite l’energia nervosa, la paura di fallire e di deludere gli altri.


Come si gestisce

È evidente che questa ricerca alla perfezione richiede molte energie ed è normale che alla fine sfoci in alti livelli di stress.  Chi chiede aiuto psicologico per risolvere il disturbo di ansia ad alto funzionamento sono proprio i “bravi”; non perché riconoscono il problema alla base ma perché percepiscono la propria condizione troppo delicata, il cui prezzo da pagare in caso di errore è enorme. Sentono la pressione della propria immagine esageratamente pesante per poter proseguire i loro obiettivi e cercano una soluzione per alleviare quel peso, senza rendersi conto che sono proprio la loro attitudine e gli standard dei propri obiettivi l’origine della loro sofferenza.

Tuttavia, se ti ritrovi in questa descrizione o conosci qualcuno che sta vivendo qualcosa di simile, sappi che non è irrisolvibile, anzi, ci sono modi per gestire e superare questo circolo vizioso.

In ambito terapeutico, i disturbi d’ansia di questo genere sono solitamente trattati tramite la combinazione di terapia cognitivo-comportamentale e tecniche di training autogeno e mindfulness. L’obiettivo di tale trattamento è quello di sbloccare la persona dagli auto condizionamenti per permetterle di esprimere la propria essenza liberamente, placando i sintomi psicofisici dovuti allo stress.

Strategie per superare l’ansia ad alto funzionamento

Tra le strategie per superare l’ansia ad alto funzionamento, realizzare che la perfezione non esiste è tra le prime. Ognuno ha i propri limiti e tempi; solo accogliendo e comprendo la cosa si può effettivamente cambiare ed esprimere il meglio di sé. L’accettazione di sé è il primo passo per cambiare. Come dice Carl Rogers, 

“Il curioso paradosso è che quando accetto me stesso per come sono, allora posso cambiare.” 

Ciò significa che bisogna anche imparare a saper godere dei propri risultati. La soddisfazione è infatti la condizione primaria per riacquistare l’energia necessaria per ripartire. Per puntare alla tappa successiva bisogna essere prima soddisfatto di quella raggiunta; devo sentirmi soddisfatto nella condizione in cui sono e convincermi che era il meglio che si potesse fare. Perché spesso quello che viviamo non dipende solo da noi stessi; ci molte variabili in gioco che non sempre si possono controllare.

La ricerca della perfezione è tossica anche a livello relazionale. Offuscata da essa, si costruisce un atteggiamento tale per il quale vincere e avere risultati migliori hanno la priorità rispetto le persone e le relazioni costruite con esse.  Ma spesso, vincere non ne vale la pena. Per questo è importante imparare a saper perdere, analizzare e comprendere quando è il caso di lasciare andare in modo che anche altre persone possano sentirsi bene con se stesse. 

In conclusione,  il segreto è puntare ad un’armonia, avere un equilibrio nelle valutare le cose, le persone e contesti nei quali viviamo. La mentalità vincente è quella che sfrutta anche l’insuccesso come occasione. Quella che coglie il positivo ed estrae energia e motivazione dai propri successi o insuccessi. Una delle frasi più note di Denis E. Waitley, famoso oratore e consulente motivazionale, dice:

“I perdenti vedono dei temporali, i vincenti vedono degli arcobaleni. I perdenti vedono strade ghiacciate, i vincenti mettono i pattini da ghiaccio!”

Denis E. Waitley

Quindi cambiamo prospettiva, prendiamo la vita con meraviglia, divertimento e riflessione. Mettiamoci ai piedi i pattini e pattiniamo leggeri sulle strade della vita!