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Il metaverso nella salute mentale: le potenzialità trasformative del trattamento terapeutico virtuale

Nell’era delle nuove tecnologie, l’interazione tra la psicoterapia e l’innovazione digitale sta aprendo nuovi orizzonti nel campo della salute mentale. Le tecnologie emergenti, come il metaverso e la realtà virtuale, stanno trasformando il modo in cui le persone affrontano le sfide psicologiche e accedono ai servizi di salute mentale.

“Le nuove tecnologie possono rivoluzionare il modo in cui forniamo servizi di salute mentale, offrendo soluzioni accessibili e personalizzate per coloro che ne hanno bisogno.”

― Pamela Rutledge

Trasformatività

Secondo uno studio di Riva G. et al (2021), le nuove tecnologie possono svolgere un ruolo trasformativo nell’esperienza umana, influenzando profondamente la nostra percezione di noi stessi, degli altri e del mondo che ci circonda. L’esperienza trasformativa si distingue dal concetto di semplice cambiamento, poiché rappresenta un mutamento profondo e duraturo nell’individuo, che coinvolge sia la dimensione epistemica che personale. Queste esperienze portano a una revisione profonda del modo di essere e di costruire la realtà, aprendo nuove prospettive e significati.

Nel contesto della psicoterapia nel metaverso, il concetto di trasformatività diventa particolarmente rilevante. Il metaverso offre uno spazio virtuale in cui le persone possono sperimentare nuove identità e modi di interagire, creando opportunità per la trasformazione personale e il cambiamento psicologico. Riva sostiene che la tecnologia può agire come un amplificatore delle esperienze umane, consentendo una maggiore consapevolezza di sé, l’esplorazione di nuove prospettive e la costruzione di nuovi significati.

La trasformatività delle nuove tecnologie nel contesto della psicoterapia nel metaverso si basa su tre elementi fondamentali:

  • Presenza: Il metaverso offre un’esperienza diversa e straordinaria, in quanto agisce sulle vie neuronali e ha un impatto diretto sul cervello. Grazie alla sua capacità di creare ambienti virtuali realistici e interattivi, il metaverso consente ai partecipanti di immergersi completamente nello spazio virtuale, generando un coinvolgimento emotivo e cognitivo più profondo rispetto ad altre modalità terapeutiche. Questa esperienza unica e potente influisce sul funzionamento del cervello, permettendo un’interazione terapeutica più intensa e significativa.
  • Personalizzazione: Consente ai partecipanti di creare avatar personalizzati che rappresentano una versione virtuale di sé stessi. In un contesto terapeutico adeguatamente guidato, questa personalizzazione consente una maggiore espressione emotiva e identificazione, facilitando l’esplorazione dei problemi e l’elaborazione delle esperienze traumatiche in un ambiente protetto e sicuro. Il terapeuta svolge un ruolo cruciale nell’assicurare che l’esperienza virtuale sia integrata in modo appropriato nel percorso terapeutico, garantendo che i risultati ottenuti nel metaverso si traducano in benefici reali per il paziente.
  • Condivisione sociale: Le persone possono interagire con gli altri attraverso gli avatar e partecipare a comunità virtuali di sostegno. Questa condivisione sociale può promuovere un senso di appartenenza, di comprensione reciproca e di supporto emotivo, creando un ambiente terapeutico inclusivo e empatico.

Metaverso, gli studi esistenti

Già oggi esistono spazi dedicati alla salute mentale all’interno del metaverso, offrendo una piattaforma in cui le persone possono riunirsi per sessioni di terapia di gruppo, con o senza la presenza di esperti del settore. Inoltre, sono stati creati ambienti immersivi in cui gli individui possono praticare consapevolezza, meditazione e yoga, contribuendo così al benessere psicofisico.

Numerose aziende hanno intrapreso lo sviluppo di cliniche virtuali per la salute mentale, mettendo a disposizione professionisti del settore che offrono assistenza in tempo reale e anche i governi di diversi paesi hanno avviato iniziative volte a creare associazioni di consulenza e terapia in realtà virtuale, al fine di fornire servizi nel metaverso. Queste cliniche virtuali rappresenteranno un’opportunità preziosa per le persone con accesso limitato all’assistenza sanitaria mentale, a causa di disabilità, restrizioni geografiche o limiti di tempo, nonché per coloro che preferiscono mantenere l’anonimato, considerando lo stigma ancora presente nei confronti delle malattie mentali.

Durante la pandemia da COVID-19 del 2020 abbiamo tutti sperimentato delle condizioni di isolamento che soggetti vulnerabili come gli anziani sperimentano nel quotidiano anche fuori dalla pandemia. Persone che spesso si trovano limitate nella loro capacità di socializzare con familiari e amici per diverse ragioni. Questa situazione si applica anche agli individui con disabilità fisiche, che spesso sperimentano frustrazione a causa della loro mancanza di indipendenza.

Infine, va sottolineato che alcuni studi hanno esplorato l’utilizzo della realtà virtuale nel trattamento dei disturbi psicotici, ma è necessario esercitare cautela e condurre ulteriori ricerche per definirne i limiti e gli effetti a lungo termine. È noto che molti pazienti affetti da psicosi possono sperimentare livelli regolari o elevati di ansia, che possono condurre a comportamenti di evitamento nei confronti di ambienti che suscitano angoscia e attacchi di panico. Recentemente, sono stati pubblicati i risultati di uno studio controllato randomizzato che ha valutato l’efficacia della terapia cognitiva basata sulla realtà virtuale nel ridurre la vulnerabilità e l’ansia nelle persone affette da psicosi. I risultati hanno dimostrato che la terapia VR ha portato a un miglioramento significativo dei sintomi di agorafobia dopo 6 settimane di trattamento. È importante sottolineare che maggiore è stata l’intensità dei sintomi, maggiore è stata l’efficacia di questo approccio terapeutico. Tuttavia, mentre questi risultati preliminari sono promettenti, è necessario condurre ulteriori studi per comprendere appieno l’impatto della realtà virtuale nel trattamento dei disturbi psicotici e stabilire l’efficacia a lungo termine. In un altro studio, quindici individui affetti da grave depressione sono stati immersi in simulazioni virtuali della durata di 3-8 minuti, in cui esercitavano la compassione confortando un avatar piangente con parole gentili, per poi ricevere a loro volta una risposta compassionevole da un altro corpo virtuale. Questo intervento ha portato a significative riduzioni della gravità della depressione, oltre ad aumenti significativi nell’autocompassione.

Rischi e accoglienza

Nel contesto dell’innovazione tecnologica e del suo impatto sulla salute mentale, il metaverso sta emergendo come una nuova frontiera nella fornitura di servizi di consulenza e supporto psicologico. Tuttavia, è fondamentale distinguere tra l’utilizzo del metaverso con consulente o terapeuta virtuale e la presenza invece di operatori reali, terapeuti qualificati, nello spazio virtuale. Questa distinzione è cruciale per garantire un adeguato livello di autenticità e per affrontare le preoccupazioni legate alla sostituzione dell’interazione umana diretta.

Se guardiamo alla storia delle innovazioni tecnologiche, possiamo osservare un modello comune in cui l’iniziale scetticismo viene seguito da una rivoluzione che cambia il nostro modo di vivere e interagire. Ad esempio, l’avvento di Internet ha suscitato dubbi sulle sue potenzialità e rischi, ma nel corso degli anni ha rivoluzionato numerosi settori, compreso l’accesso alle risorse di salute mentale. La ricerca condotta da Anderson et al. nel 2019 ha dimostrato che le terapie online possono essere altrettanto efficaci delle terapie tradizionali, aprendo la strada a nuovi approcci terapeutici innovativi come il metaverso.

È comprensibile che sorgano dubbi e incertezze riguardo all’efficacia e all’esperienza autentica offerta dai servizi di salute mentale nel metaverso. Un’indagine condotta da Thomson et al. nel 2023 ha evidenziato che alcuni partecipanti esprimono preoccupazioni sulla capacità degli operatori virtuali di comprendere appieno le sfumature emotive e l’esperienza individuale del paziente. Tuttavia, in questi studi viene fatto riferimento a operatori virtuali, non all’efficacia dei terapeuti reali che operano tramite gli spazi del metaverso. Secondo la ricerca condotta da Lee et al. nel 2022 infatti, nonostante le differenze nell’interazione si possono ancora sviluppare l’empatia e la comprensione e queste possono essere mantenute nel contesto virtuale tra terapeuta e paziente. Uno studio di progettazione condotto da Wang et al. nel 2023 ha dimostrato come l’uso della realtà virtuale nel metaverso possa migliorare l’immersione emotiva e la sensazione di presenza, aprendo nuove opportunità nel campo della psicoterapia.

L’impiego del metaverso come strumento terapeutico richiede una gestione oculata e competente, in cui i terapeuti reali siano in grado di fornire il sostegno necessario per affrontare le sfide e garantire un’esperienza terapeutica significativa e sicura.

Conclusione

In conclusione, la terapia nel metaverso non intende sostituire la terapia tradizionale, ma piuttosto offrire una soluzione complementare e accessibile per coloro che necessitano di supporto psicologico. L’implementazione oculata e competente di questa tecnologia innovativa può fornire un’alternativa preziosa per migliorare il benessere mentale e garantire che nessuno sia escluso dalla possibilità di ricevere il sostegno psicologico di cui ha bisogno.

“La realtà virtuale offre l’opportunità di creare esperienze terapeutiche altamente immersive, permettendo ai pazienti di affrontare le proprie paure e problemi in un ambiente controllato e sicuro.”

Brenda K. Wiederhold

Bibliografia

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Esplorando la fame nervosa: il legame tra emozioni e alimentazione

La fame nervosa è un fenomeno complesso che coinvolge la relazione tra le emozioni e il comportamento alimentare. Le persone che la sperimentano spesso avvertono una forte necessità di mangiare anche quando non hanno una reale sensazione di fame fisica. Questo desiderio di cibo è solitamente scatenato da fattori emotivi, come lo stress, la tristezza, l’ansia o la noia. In questi casi, il cibo diventa una forma di “automedicazione” per alleviare temporaneamente il disagio emotivo.

Le caratteristiche della fame nervosa includono la preferenza per cibi ad alto contenuto calorico, spesso ricchi di grassi o zuccheri, e la sensazione di perdere il controllo durante i periodi di ingestione alimentare compulsiva. Dopo aver mangiato in modo eccessivo, le persone affette dalla fame nervosa spesso sperimentano sensi di colpa, vergogna e disgusto verso sé stesse. Questo ciclo può contribuire allo sviluppo e al mantenimento dei disturbi alimentari come l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa o il disturbo da alimentazione incontrollata.

Il senso di colpa spesso accompagna questa esperienza. Anche se può sembrare semplice da gestire dall’esterno, interrompere facilmente i meccanismi impulsivi associati alla fame nervosa può essere incredibilmente difficile. Il senso di colpa deriva dalla sensazione di non avere abbastanza controllo sul proprio comportamento alimentare e dalla frustrazione nel cercare di resistere a questi impulsi e anche dall’incomprensione che hanno gli altri dall’esterno dell’effettiva difficoltà ad avere controllo degli stessi.

È importante riconoscere che la fame nervosa è un meccanismo complesso che va oltre una semplice questione di forza di volontà. Coinvolge aspetti emotivi profondi e condizionamenti passati, per questo la psicoterapia può fornire un ambiente sicuro e non giudicante in cui esplorare le emozioni, i pensieri e i comportamenti correlati ad essa.

“La fame emotiva è il tentativo di riempire il vuoto delle emozioni con il cibo, ma alla fine ci rende solo più affamati di autentico sostegno emotivo.”

― Ellyn Satter

Per forza una cosa negativa?

La fame emotiva però non è necessariamente una cosa negativa. Fin dall’allattamento, abbiamo imparato a collegare cibo ed emozioni, e questo ha un significato fisiologico importante. Il cibo può offrire comfort e soddisfazione emozionale in alcune situazioni. Tuttavia, c’è una sottile ma significativa differenza tra una sana gestione delle emozioni attraverso il cibo e l’utilizzo del cibo come anestetizzante delle emozioni stesse.

Nel caso della sana gestione delle emozioni attraverso il cibo, siamo consapevoli delle nostre emozioni e, occasionalmente, possiamo ricorrere al cibo per trovare conforto o gratificazione. Questo può avvenire in momenti speciali o come parte di rituali sociali. Ad esempio, condividere un pasto con amici e familiari può essere un’esperienza gioiosa e significativa.

D’altra parte, quando cerchiamo costantemente il cibo per evitare o sopprimere le nostre emozioni, possiamo finire per ignorare i segnali di fame e sazietà del nostro corpo e utilizzare il cibo come meccanismo di coping disfunzionale. Questo può alimentare ulteriormente la fame nervosa e i disturbi alimentari. Riconoscere la differenza tra una sana gestione delle emozioni attraverso il cibo e l’utilizzo del cibo come anestetizzante delle emozioni è fondamentale nel percorso di guarigione.

Fame nervosa o fame fisica

Distinguere la fame nervosa dalla fame fisica può essere un aspetto cruciale nel comprendere e affrontare i disturbi alimentari. La fame nervosa è spesso scatenata da fattori emotivi, come lo stress, l’ansia o l’umore depresso, mentre la fame fisica è una risposta naturale del corpo al bisogno di nutrienti e energia.

La fame nervosa si manifesta improvvisamente e può essere accompagnata da desideri specifici per cibi particolari, come cibi ricchi di zuccheri o carboidrati. È spesso associata a un senso di “vuoto” emotivo o a un bisogno di gratificazione immediata. Inoltre, la fame nervosa può essere scatenata da fattori esterni, come situazioni stressanti o emotivamente cariche. D’altra parte, la fame fisica si sviluppa gradualmente e si manifesta con segnali fisici come il brontolio dello stomaco, la sensazione di debolezza o la diminuzione dei livelli di energia. Non è legata a emozioni specifiche o a un desiderio di gratificazione immediata. Inoltre, la fame fisica può essere soddisfatta da una varietà di cibi, non limitandosi a scelte specifiche.

Per distinguere la fame nervosa dalla fame fisica, può essere utile porre domande a sé stessi prima di mangiare. Ad esempio, chiedersi se si ha davvero fame o se si sta cercando di compensare uno stato emotivo negativo. Osservare i segnali fisici di fame come il brontolio dello stomaco o la sensazione di debolezza può aiutare a identificare la fame fisica.

La consapevolezza delle proprie emozioni e la capacità di riconoscere i segnali del proprio corpo sono importanti strumenti per distinguere tra fame nervosa e fame fisica. Mantenere un diario alimentare o uno schema di monitoraggio delle sensazioni può essere utile nel rilevare i modelli di alimentazione e comprendere le motivazioni dietro i comportamenti alimentari.

Fattori psicologici sottostanti

La fame nervosa può derivare da diverse cause profonde che vanno oltre il semplice desiderio di mangiare per alleviare lo stress o le emozioni negative. Una delle cause potenziali è rappresentata dalle esperienze traumatiche o avversità vissute nel corso della vita. Ad esempio, individui che hanno subito abusi, traumi o hanno affrontato perdite significative possono sviluppare una fame nervosa come modo per cercare conforto o autoproteggersi da esperienze traumatiche non elaborate o emotivamente dolorose.

Inoltre, può essere influenzata da disturbi dell’umore come la depressione o l’ansia. Le persone che soffrono di tali disturbi possono utilizzare il cibo come meccanismo di autoregolazione emotiva, cercando di compensare la tristezza, l’apatia o l’ansia cronica attraverso l’assunzione di cibo.

La bassa autostima e l’insoddisfazione corporea rappresentano ulteriori cause profonde della fame nervosa. Quando un individuo ha un’immagine negativa di sé stesso e vive un senso di insicurezza riguardo al proprio aspetto fisico, può ricorrere al cibo come modo per riempire un vuoto emotivo o per cercare di conformarsi agli ideali estetici imposti dalla società.

Infine, i modelli familiari e culturali possono influenzare la predisposizione alla fame nervosa. Ad esempio, se il cibo è stato utilizzato come ricompensa, comfort o meccanismo per gestire lo stress all’interno della famiglia di origine, una persona potrebbe sviluppare una relazione disfunzionale con il cibo, utilizzandolo come risposta automatica a situazioni emotive complesse.

Anche i problemi relazionali, sia all’interno della famiglia che con altre figure significative, possono giocare un ruolo significativo nello sviluppo della fame nervosa. Ad esempio, un ambiente familiare caratterizzato da conflitti, critiche e pressioni legate all’aspetto fisico può contribuire allo sviluppo di una relazione distorta con il cibo e scatenare episodi di fame nervosa. Inoltre, le esperienze di abuso fisico, sessuale o emotivo possono lasciare una profonda impronta nella psiche di un individuo, influenzando la relazione con il cibo e le emozioni associate ad esso. Le difficoltà nelle relazioni interpersonali, come sentimenti di isolamento, solitudine o mancanza di supporto emotivo, possono anche portare a un ricorso alla fame emotiva come meccanismo di coping disfunzionale.

È importante sottolineare che queste cause profonde non agiscono in modo isolato, ma spesso interagiscono e si influenzano reciprocamente, contribuendo alla complessità della fame nervosa nel contesto dei disturbi alimentari. Comprendere appieno queste cause può guidare l’intervento psicoterapeutico, indirizzandolo alla radice del problema e favorendo un percorso di guarigione più completo.

Approcci psicoterapeutici per la gestione della fame nervosa

Nel trattamento dei disturbi alimentari, l’approccio psicoterapeutico gioca un ruolo cruciale nella gestione della fame nervosa. Alcuni si concentrano sull’identificazione e sulla modifica dei pensieri disfunzionali e dei comportamenti legati alla fame nervosa. Gli obiettivi includono lo sviluppo di strategie di coping alternative alla “fame emotiva” e il miglioramento delle abilità di regolazione emotiva.

L’approccio della terapia si concentra sull’esplorazione dei conflitti e delle dinamiche inconsce che possono contribuire alla fame nervosa. Attraverso l’analisi delle radici psicologiche del comportamento alimentare, si mira a promuovere una maggiore consapevolezza di sé e a facilitare cambiamenti significativi.

Mindful eating

Un approccio promettente per affrontare la fame nervosa nel contesto dei disturbi alimentari è rappresentato dalla mindful eating, o “alimentazione consapevole”. La mindful eating si basa sulla pratica della consapevolezza e dell’attenzione al momento presente durante i pasti. Questo approccio invita le persone a sviluppare una maggiore consapevolezza di ciò che mangiano, delle sensazioni fisiche e delle emozioni associate all’atto del mangiare.

Nel contesto della fame nervosa, la mindful eating può aiutare le persone a riconoscere e distinguere tra la fame fisica e la fame emotiva. Attraverso l’osservazione attenta delle sensazioni corporee, come la fame nel ventre, le tensioni o le sensazioni di sazietà, le persone possono imparare a rispondere in modo consapevole alle vere necessità del loro corpo, piuttosto che cedere a impulsi emotivi o stressanti.

La mindful eating può anche contribuire a sviluppare una maggiore consapevolezza delle emozioni associate all’atto del mangiare. Le persone sono incoraggiate a notare le emozioni presenti nel momento in cui sperimentano il desiderio di mangiare e a interrogarsi sulle ragioni sottostanti a tale desiderio. Ad esempio, anziché reagire automaticamente al disagio emotivo con il cibo, possono esplorare alternative salutari per gestire lo stress o affrontare le emozioni negative, come la pratica della meditazione, l’esercizio fisico o l’espressione creativa.

Inoltre promuove anche un’attenzione consapevole alla scelta degli alimenti e all’atto del mangiare. Le persone sono invitate a esplorare i cibi con tutti i sensi, ad apprezzarne i sapori, le consistenze e i profumi, senza giudizio. Questo approccio permette di stabilire una relazione più equilibrata con il cibo, riducendo il senso di privazione e permettendo di soddisfare i bisogni nutrizionali in modo consapevole e gratificante.

Conclusione

La fame nervosa rappresenta un aspetto significativo dei disturbi alimentari, con un forte legame tra le emozioni e il comportamento alimentare disfunzionale. Attraverso un approccio psicoterapeutico, è possibile affrontare e gestire la fame nervosa, fornendo alle persone affette da disturbi alimentari strumenti e strategie per affrontare le emozioni negative in modo sano ed efficace. L’integrazione di diverse modalità terapeutiche può offrire un quadro completo per affrontare le complessità della fame nervosa, promuovendo il benessere psicologico e un rapporto equilibrato con il cibo.

“La fame emotiva può essere vista come un’opportunità per imparare a connetterci con noi stessi in modo più profondo e curare le ferite emotive.”

Michelle May

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I nuovi strumenti digitali nell’educazione pedagogica: un’opportunità e una sfida per i genitori

L’avvento delle tecnologie digitali ha cambiato radicalmente il modo in cui i bambini interagiscono con il mondo. Oggi, i figli vengono esposti alle tecnologie in età sempre più precoce, grazie alla diffusione dei dispositivi con schermo tattile. Questa evoluzione ha permesso loro, anche a quelli che non sanno ancora leggere o scrivere e che non hanno ancora sviluppato pienamente la coordinazione oculo-manuale, di interagire con le tecnologie in anticipo rispetto al passato, superando così alcune barriere che limitavano l’accesso ai nuovi media e alle loro potenzialità.

“L’uso eccessivo o non regolamentato delle tecnologie digitali può portare a problemi come la dipendenza, l’isolamento sociale e la riduzione delle competenze cognitive. È fondamentale insegnare ai giovani a trovare un equilibrio tra l’uso delle tecnologie e le attività offline.

― Sherry Turkle

Studi sull’adozione delle tecnologie digitali fin dall’infanzia

Diverse indagini hanno confermato questa tendenza. Ad esempio, la fondazione statunitense Common Sense Media ha condotto una ricerca su vasta scala che ha documentato i cambiamenti significativi che coinvolgono i bambini e le tecnologie digitali, aggiornando i dati raccolti nel 2011 sullo stesso tema. Dai risultati di questo studio emergono dati rilevanti che richiedono un’attenta riflessione.

È evidente, innanzitutto, che l’accesso dei bambini più piccoli ai dispositivi digitali è notevolmente aumentato rispetto a due anni prima, passando dal 52% al 75%. In particolare, il 38% dei bambini di età inferiore ai due anni ha utilizzato un dispositivo mobile, rispetto al 10% del 2011. Inoltre, la percentuale che utilizza un mezzo digitale almeno una volta al giorno è più che raddoppiata, passando dall’8% al 17%. È stato osservato anche un triplicarsi del tempo dedicato a questi strumenti durante una giornata tipica. Questi dati mettono in luce l’ampliamento dell’accesso dei più piccoli alle tecnologie digitali e l’aumento del tempo che vi dedicano.

Questi risultati sottolineano l’importanza di affrontare in modo consapevole e psicoterapeutico l’educazione pedagogica nell’era digitale. Mentre le nuove tecnologie offrono opportunità straordinarie, è fondamentale che i genitori comprendano gli effetti di questa esposizione precoce e guidino i loro figli verso un utilizzo sano e consapevole delle tecnologie digitali.

Comprendere l’impatto dei nuovi strumenti digitali sull’educazione

Per affrontare in modo efficace l’educazione pedagogica nell’era digitale, è fondamentale comprendere l’impatto dei nuovi strumenti digitali sull’apprendimento e lo sviluppo dei bambini. Mentre l’utilizzo delle tecnologie può offrire opportunità uniche di accesso all’informazione e alla conoscenza, può anche esporre i bambini a rischi come la dipendenza digitale. Studi recenti indicano che il 10% degli adolescenti è a rischio di sviluppare una dipendenza patologica dai dispositivi digitali. Questo sottolinea l’importanza di una consapevolezza critica e di una guida attenta da parte dei genitori.

Mantenere un equilibrio tra l’uso dei dispositivi digitali e le attività tradizionali

Per evitare una dipendenza digitale e promuovere uno sviluppo equilibrato, i genitori devono incoraggiare un utilizzo consapevole dei dispositivi digitali. È essenziale stabilire limiti chiari sul tempo trascorso davanti agli schermi e incentivare una varietà di esperienze educative che coinvolgono il gioco all’aperto, l’interazione sociale e altre attività tradizionali. Il mantenimento di un equilibrio tra l’uso dei dispositivi digitali e le attività offline favorisce una crescita sana e multidimensionale.

Le regole di buona condotta nell’utilizzo delle tecnologie digitali possono sembrare scontate, ma spesso i genitori cadono in trappole che ne favoriscono un utilizzo eccessivo da parte dei figli. L’uso del telefono come strumento di intrattenimento e la mancanza di limiti possono portare alla situazione paradossale in cui i bambini diventano più abili nell’utilizzo di queste tecnologie rispetto ai loro stessi genitori, rendendo difficile il controllo su ciò che ne fanno.

L’educazione digitale dei figli dipende in gran parte dal comportamento dei genitori. Spesso sono proprio questi che, con le proprie azioni, espongono i figli all’uso eccessivo dei dispositivi digitali.

È essenziale che i genitori comprendano il loro ruolo di modelli e si impegnino a utilizzare in modo consapevole e bilanciato le tecnologie digitali. Dovrebbero stabilire limiti chiari per sé stessi e per i propri figli, evitando di utilizzare il telefono come mezzo di intrattenimento o come surrogato per l’interazione e il tempo di qualità con i figli. I genitori devono essere consapevoli del fatto che la loro educazione comportamentale nei confronti della tecnologia avrà un impatto duraturo sull’educazione digitale dei loro figli.

Promuovere l’utilizzo consapevole dei nuovi strumenti digitali

Per garantire un utilizzo consapevole dei nuovi strumenti digitali, i genitori devono essere coinvolti attivamente nella selezione delle risorse e delle applicazioni adatte ai propri figli. Questo implica una valutazione attenta della qualità del contenuto, della sicurezza online e del tempo trascorso davanti agli schermi. I genitori possono giocare un ruolo fondamentale nell’insegnare ai loro figli a valutare criticamente le informazioni online, adottare comportamenti sicuri e responsabili e sviluppare competenze digitali.

Sfruttare i videogiochi educativi come strumenti di apprendimento

I videogiochi educativi ad esempio rappresentano un’opportunità significativa per l’apprendimento dei bambini. Questi giochi, quando ben progettati, possono migliorare le abilità cognitive, la risoluzione dei problemi e la creatività. I genitori possono fare una selezione oculata di giochi adatti all’età dei loro figli, che offrano una sfida appropriata e incoraggino l’interazione sociale. Integrare i videogiochi educativi nell’educazione pedagogica dei bambini può offrire un modo coinvolgente e stimolante per sviluppare competenze e conoscenze.

Trattare la dipendenza da smartphone con strumenti digitali

La dipendenza da smartphone è diventata un problema crescente tra i giovani, ma paradossalmente, gli strumenti digitali possono essere utilizzati anche per affrontare e curare questa dipendenza. Le Mental Health app, ad esempio, offrono supporto e risorse per affrontare la dipendenza digitale e promuovere una gestione sana degli smartphone. Attraverso funzionalità come la consapevolezza, il tracciamento del tempo e il monitoraggio delle abitudini, queste app possono aiutare i giovani a regolare l’uso degli smartphone e a sviluppare strategie per migliorare la salute mentale e il benessere.

Conclusione

L’educazione pedagogica nell’era digitale richiede una comprensione approfondita degli effetti dei nuovi strumenti digitali sui bambini. I genitori hanno un ruolo cruciale nel guidare i loro figli verso un utilizzo sano e consapevole della tecnologia. Promuovere un equilibrio tra l’uso dei dispositivi digitali e le attività tradizionali, selezionare con cura le risorse digitali, sfruttare i videogiochi educativi e utilizzare strumenti digitali per affrontare la dipendenza da smartphone sono solo alcuni degli approcci che i genitori possono adottare per garantire un’educazione positiva e bilanciata nell’era digitale.

“Gli insegnanti e i genitori devono essere coinvolti nell’educazione digitale dei giovani, fornendo linee guida, modelli positivi e opportunità di apprendimento basate sui nuovi strumenti digitali.”

James Paul Gee

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Specchio-insoddisfazionecorporea

Oltre il peso: Affrontare l’insoddisfazione corporea nei disturbi alimentari

L’insoddisfazione corporea rappresenta un fattore di rischio significativo per lo sviluppo dei disturbi alimentari, che vanno considerati come malattie mentali complesse piuttosto che semplici malattie del peso.

“I disturbi alimentari sono una forma di espressione del dolore emotivo. La lotta con il cibo diventa un modo per gestire le emozioni difficili, ma alla fine porta solo a ulteriori sofferenze.”

― Maudsley Hospital

I molteplici motivi dei disturbi alimentaria Psicoterapia

Contrariamente alla percezione comune, i disturbi alimentari non si presentano in una sola forma o peso, ma rappresentano una complessa interazione tra diversi fattori biologici, psicologici, sociali e culturali. Può derivare da un profondo disagio emotivo e da una lotta interna per il controllo, in cui il cibo diventa un mezzo per affrontare o evitare i sentimenti negativi. Inoltre, i disturbi alimentari possono essere collegati a problemi di autostima, ansia, depressione, traumi passati o difficoltà relazionali. È importante comprendere la vastità di questi fattori per affrontare efficacemente l’insoddisfazione corporea nei disturbi alimentari.

Approccio psicoterapeutico completo per affrontare l’insoddisfazione corporea

Per affrontare l’insoddisfazione corporea nel contesto dei disturbi alimentari, è fondamentale adottare un approccio psicoterapeutico integrato e personalizzato. Questo tipo di approccio va oltre la semplice gestione del peso corporeo e si concentra sulla comprensione profonda delle radici del disturbo, nonché sulla promozione di una relazione più sana con il proprio corpo.

Nel percorso di trattamento, è essenziale esplorare i fattori scatenanti e i pensieri distorsivi legati all’immagine corporea. Spesso, l’insoddisfazione corporea è alimentata da credenze irrazionali e distorte riguardo all’aspetto fisico, che possono contribuire al mantenimento dei disturbi alimentari. Il terapeuta lavorerà con il paziente per identificare e modificare queste distorsioni cognitive, promuovendo una prospettiva più realistica e positiva dell’immagine corporea.

Un altro aspetto cruciale dell’approccio psicoterapeutico è l’elaborazione delle emozioni difficili. Spesso, i disturbi alimentari sono una forma di copertura o controllo delle emozioni negative come l’ansia, la tristezza o la rabbia. Attraverso la terapia, si incoraggia il paziente a sviluppare strategie di coping alternative e più salutari per gestire queste emozioni, anziché ricorrere all’alimentazione disfunzionale.

La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e la terapia basata sul processo sono due approcci utilizzati nel trattamento dei disturbi alimentari. La CBT si concentra sulla modifica dei modelli di pensiero e dei comportamenti disfunzionali, lavorando per sfidare le credenze negative riguardanti il corpo e l’alimentazione. La terapia basata sul processo, d’altra parte, si focalizza sul processo individuale di cambiamento e crescita, promuovendo un’esplorazione consapevole dell’esperienza presente e l’integrazione delle risorse interne. Entrambi gli approcci sono complementari e offrono strumenti efficaci per affrontare i disturbi alimentari. La CBT utilizza tecniche specifiche, come l’esposizione graduale, per affrontare l’ansia e il disagio legati all’immagine corporea, mentre la terapia basata sul processo valorizza un ruolo attivo nel proprio processo di guarigione e si adatta alle esigenze individuali del paziente. L’integrazione di entrambi gli approcci può fornire un percorso terapeutico completo e personalizzato per affrontare i disturbi alimentari e promuovere la guarigione e la crescita personale.

La terapia psicodinamica è un altro approccio che può essere utilizzato nel trattamento dell’insoddisfazione corporea nei disturbi alimentari. Questa forma di terapia si concentra sulla comprensione dei processi inconsci e dei modelli di relazione che possono contribuire alla formazione e al mantenimento dei disturbi alimentari. Lavorando in uno spazio terapeutico sicuro e di fiducia, il paziente può esplorare i traumi passati, le dinamiche familiari disfunzionali o le difficoltà relazionali che possono influire sull’immagine corporea e sul comportamento alimentare.

Oltre alla terapia individuale, la terapia familiare può svolgere un ruolo importante nel trattamento dei disturbi alimentari. Coinvolgere la famiglia nel processo terapeutico può aiutare a comprendere meglio i dinamismi familiari che possono contribuire all’insoddisfazione corporea e ai disturbi alimentari. Questo approccio permette di lavorare sul miglioramento della comunicazione familiare, sulla promozione di un ambiente di supporto e sull’identificazione di strategie familiari per sostenere la guarigione.

Il ruolo dei social media nei disturbi alimentari

Nell’era digitale e dei social media, la relazione tra disturbi alimentari e l’uso di piattaforme online è diventata un argomento di crescente interesse e preoccupazione. I social media offrono un ambiente virtuale in cui le persone possono condividere immagini, commenti e pensieri sul proprio aspetto fisico e sul cibo. Tuttavia, questa costante esposizione a contenuti che idealizzano un corpo magro, perfetto e immagini di diete estreme può avere un impatto significativo sulla percezione del proprio corpo e alimentazione.

I social media possono contribuire all’insoddisfazione corporea in diversi modi. In primo luogo, l’esposizione a immagini ritoccate e filtri che mostrano corpi “perfetti” può creare un’immagine distorta della realtà, facendo sentire le persone insicure e insoddisfatte del proprio aspetto fisico. Le comparazioni sociali possono essere particolarmente dannose, poiché le persone tendono a confrontarsi con gli altri e a sentirsi inadeguate se non raggiungono gli standard irrealistici promossi dai social media.

Inoltre, i social media possono anche favorire comportamenti alimentari disordinati. Le diete estreme, le restrizioni alimentari e le tendenze di “fitspiration” promosse online possono influenzare negativamente il comportamento alimentare delle persone, spingendole verso pratiche non salutari e disordinate. In alcuni casi, i social media possono anche fungere da piattaforma per la promozione di contenuti pro-ana (pro-anoressia) e pro-mia (pro-bulimia), che incoraggiano e perpetuano i disturbi alimentari.

Le persone con disturbi alimentari possono essere particolarmente vulnerabili all’influenza dei social media. Le piattaforme online possono fornire un’illusione di comunità e supporto, ma allo stesso tempo possono amplificare i comportamenti disordinati e isolare ulteriormente le persone dai canali di aiuto tradizionali. La competizione per ottenere il “like” e l’approvazione online può diventare un fattore di stress aggiuntivo per coloro che già lutano con l’insoddisfazione corporea e l’autostima.

Affrontare l’impatto dei social media nei disturbi alimentari

Per affrontare l’impatto negativo dei social media nei disturbi alimentari, è fondamentale sviluppare una maggiore consapevolezza critica riguardo ai contenuti online. Gli individui devono essere in grado di riconoscere quando gli standard irrealistici o i comportamenti disordinati sono promossi e imparare a filtrare le informazioni dannose.

Inoltre, è importante promuovere l’educazione digitale e il pensiero critico nelle scuole e nelle famiglie. Gli adolescenti e i giovani adulti, in particolare, dovrebbero essere consapevoli dei pericoli dell’idealizzazione dei corpi sui social media e delle strategie di autoprotezione per preservare la propria salute mentale.

Le piattaforme dei social media hanno anche una responsabilità nel contrastare gli effetti negativi dei disturbi alimentari. Le società di social media possono implementare politiche più rigorose per evitare la promozione di contenuti pro-ana e pro-mia e fornire risorse e supporto per coloro che cercano aiuto per i disturbi alimentari.

Una combinazione di consapevolezza critica, educazione digitale, politiche dei social media responsabili e trattamento professionale può contribuire a promuovere una visione più equilibrata del corpo e a prevenire e trattare i disturbi alimentari correlati ai social media.

Conclusioni

In conclusione, spostare il focus dei disturbi alimentari dalla semplice questione del peso corporeo all’analisi approfondita delle emozioni sottostanti e dei fattori psicologici, sociali e culturali è cruciale per una comprensione completa e una terapia efficace. Riconoscere che i disturbi alimentari sono malattie mentali ci permette di concentrarci sulla promozione della salute mentale, sull’autostima e sull’acquisizione di strategie di coping più efficaci. Solo attraverso un approccio integrato e una visione più equilibrata del corpo, possiamo aiutare coloro che soffrono di disturbi alimentari a intraprendere un percorso di guarigione completo.

“L’immagine corporea è una rappresentazione complessa delle nostre emozioni, dei nostri pensieri e delle nostre relazioni con il mondo. È importante lavorare sulla percezione di sé e sulla consapevolezza del proprio corpo per superare i disturbi alimentari.”

―Susie Orbach

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Psicoterapia metaverso

Le nuove tecnologie digitali rivoluzioneranno la psicoterapia?

La pratica della psicoterapia ha subito un’evoluzione significativa grazie all’avanzamento delle tecnologie digitali. L’utilizzo di nuovi strumenti e piattaforme digitali ha aperto nuove opportunità nella diagnosi, nella terapia e nella promozione del benessere mentale. Negli ultimi anni, l’idea di un “metaverso” ha guadagnato slancio, promettendo di rivoluzionare ulteriormente il campo della psicoterapia. 

La tecnologia sta aprendo nuove frontiere nella pratica della psicoterapia, consentendo l’accesso a servizi di supporto e trattamento in modi mai visti prima.

― Albert Bandura

L’uso di Nuovi Strumenti Digitali nella Psicoterapia

L’integrazione dei nuovi strumenti digitali nella pratica clinica ha aperto nuove frontiere per i professionisti della salute mentale. L’uso di applicazioni mobili, ad esempio, consente agli utenti di monitorare e gestire i propri stati emotivi, di ricevere promemoria per le terapie e di accedere a risorse educative. Queste applicazioni, conosciute come “mental health app”, offrono una vasta gamma di strumenti e risorse per il miglioramento del benessere mentale.

Le Mental Health App stanno diventando sempre più diffuse e possono essere utilizzate come strumenti complementari alla terapia tradizionale. Queste app offrono esercizi di meditazione guidata, tecniche di gestione dello stress, tracciamento dell’umore, journaling e altro ancora. Alcune app utilizzano anche l’intelligenza artificiale per fornire supporto personalizzato e programmi di terapia digitale. Sebbene non sostituiscano la terapia diretta con un professionista, possono fornire un supporto prezioso nella gestione quotidiana del benessere mentale.

La Telemedicina in Psicoterapia

La telemedicina ha rivoluzionato la pratica della psicoterapia, consentendo ai terapeuti di fornire servizi di consulenza a distanza. Grazie alle videochiamate e alle piattaforme di chat online sicure, i pazienti possono accedere alla terapia senza dover affrontare i vincoli geografici e le limitazioni logistiche. La telemedicina ha dimostrato di essere altrettanto efficace della terapia tradizionale nella gestione di disturbi come l’ansia, la depressione e il disturbo post-traumatico da stress. Inoltre, consente un maggiore accesso alla terapia per le persone che altrimenti avrebbero avuto difficoltà a raggiungere un professionista.

Il potenziale del Metaverso

Il concetto di “metaverso” sta emergendo come una possibile rivoluzione nel campo della psicoterapia. Il metaverso si riferisce a un ambiente virtuale condiviso in cui le persone possono interagire tra loro e con oggetti digitali. Questo ambiente potrebbe fornire un nuovo spazio per la terapia, consentendo ai terapeuti e ai pazienti di sperimentare sessioni di terapia immersive e interattive. Il metaverso potrebbe anche consentire l’accesso a terapie basate sulla realtà virtuale, in cui i pazienti possono affrontare le proprie paure o ansie in un ambiente sicuro e controllato.

Conclusioni

L’evoluzione dei nuovi strumenti digitali ha aperto nuove opportunità nella pratica della psicoterapia. Le mental health app offrono strumenti accessibili per il benessere mentale, mentre la telemedicina permette la terapia a distanza, superando le barriere geografiche. L’avvento del metaverso promette di rivoluzionare ulteriormente il campo, offrendo un ambiente virtuale condiviso e nuove possibilità terapeutiche. La combinazione di questi nuovi strumenti digitali e l’approccio umano della psicoterapia può portare a un futuro in cui l’accessibilità, l’efficacia e l’esperienza di terapia saranno ancora più innovative e potenti.

“Le nuove tecnologie possono ampliare l’efficacia della psicoterapia, fornendo risorse aggiuntive e strumenti di monitoraggio per i pazienti, migliorando così i risultati terapeutici.”

― Irvin D. Yalom

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Supporto alle separazioni

Perché è così difficile cambiare?

Il contesto in cui viviamo è in continua evoluzione ma le persone, una volta raggiunta una situazione di stabilità, tendono a non riuscire ad uscire dalla loro comfort zone. Cambiare in effetti è difficile  anche quando questa ci porta a situazioni di sofferenza. Perché accade questo?  

“È solo dopo essere uscito dalla tua zona di comfort che inizi a cambiare, crescere e trasformarti.”

― Roy T. Bennett

Crescendo ci si sente saldi nel proprio modo d’essere e il cambiamento, per quanto allettante, diventa anche una prospettiva che intimorisce. Intimorisce anche perché, sebbene pensiamo di voler cambiare, siamo convinti nel nostro intimo che il vero cambiamento non sia in realtà possibile. Non ci sembra realistico essere diversi da come siamo, comportarci in altro modo, pensare diversamente. Talvolta ci proviamo anche ma, nel tentativo di migliorarci, incontriamo degli ostacoli e di conseguenza ci scoraggiamo, arrivando a confermare quella paura profonda che abbiamo: per noi cambiare non è possibile. 

"Sono fatto così."

Diciamo spesso frasi simili, come scusa, come giustificazione del fatto che non è possibile attuare un cambiamento. Forse lo è per gli altri, ma non per noi. Talvolta, tuttavia, fa capolino la speranza che le cose possano “forse”, “chissà” anche cambiare ed allora ci sorge un’altra domanda. 

"Ci sono voluti decenni per capire qualcosa della vita e quindi perché dovrei cambiare proprio ora?"

Perché è difficile cambiare

Questo dubbio attanaglia molti di noi, bloccandoci in un confortevole limbo: anche se non si è molto felici al momento, il cambiamento porta con sé incertezza e questa incertezza ci porta a pensare che sia meglio non rischiare di peggiorare la situazione. Inoltre ogni situazione ha dei vantaggi, quello che viene chiamato il “vantaggio secondario” che ha una funzione nel nostro equilibrio psichico e che facciamo fatica a pensare di lasciare andare. 

Oppure spesso non attuiamo nessun cambiamento anche perché ci sovviene il pensiero di poter cambiare senza cambiare realmente. Proprio così: vorremmo un cambiamento ma senza modificare nulla del nostro modo di essere, di pensare, di fare, di relazionarci…insomma coviamo inconsciamente nel profondo l’illusione che facendo le stesse cose, agendo nella stessa maniera, pensando come sempre si possa ottenere un risultato differente. Come dire che se ci siamo ammalati in un determinato contesto, potremmo guarire autonomamente, senza modificare tale contesto.

Soprattutto nell’ambito delle relazioni con gli altri questa resistenza talvolta si mantiene granitica. La paura di cambiare si alimenta del timore che gli altri non accettino le nostre modifiche e le nostre nuove esigente e magari non ci apprezzino, non ci approvino, ci critichino o alla peggio, ci lascino. 

Tuttavia anche quando siamo convinti a voler attuare un cambiamento e forse siamo anche pronti a farlo, ci rendiamo conto che è difficile. 

Per capire meglio perché le persone fatichino a cambiare, possiamo prendere in considerazione i complessi meccanismi del cervello che ci possono limitare, costringendoci a rimanere su un percorso che non siamo sicuri di voler mantenere.

Modelli cerebrali formati

Man mano che si cresce il nostro cervello si plasma e costruisce degli schemi interni, ovvero dei “percorsi” che sono funzionali alla gestione della complessità: funzionando quindi in un modo, si strutturano delle abitudini e, nel tempo, si diventa sempre più fissi nelle proprie routines. In questo caso però non parliamo della nonna che insiste che la cena deve essere servita alle sei, si tratta di come reagiamo alle cose, affrontiamo i fallimenti, ci poniamo nei confronti delle sfide quotidiane. Quando si diventa adulti, nel  cervello si sviluppano dei meccanismi automatici. Per un qualsiasi tipo di innesco, esiste una risposta automatica corrispondente.

In una relazione, per esempio, si tende a reagire nello stesso modo ogni volta che il partner dice o fa qualcosa. Non ci pensiamo perché c’è uno schema cerebrale formato che dirige la nostra reazione. Quante relazioni fallite ci sono costate questi schemi? Per reagire in modo diverso, dobbiamo esaminare lo schema e capire perché alcune cose ci fanno arrabbiare, o perché altre cose ci feriscono. 

Anche il confronto con l’Altro aiuta a fare questa operazione di scoperta, comprensione, analisi dei propri schemi interni e dei propri automatismi. In questo la terapia può essere un valido supporto molto ed è proprio quando le persone scoprono i propri schemi interni oppure si accorgono di reagire in modo “sempre uguale” alle cose che decidono di chiedere aiuto e di affrontare con una persona “estranea” questa riflessione. 

Paura del fallimento

Forse non ci piace la strada che stiamo percorrendo, ma almeno pensiamo che ci abbia tenuto al sicuro finora. Questo vale per le relazioni, le scelte di carriera, la vita sociale, ecc. Come possiamo cambiare modo di fare proprio ora? Cosa succederebbe se dovessimo fallire e non dovessimo arrivare a un miglioramento? 

Cambiare il modo in cui siamo e in cui approcciamo i problemi più andiamo avanti con gli anni più diventa impegnativo. Ma è importante essere consapevoli del fatto che, sebbene col tempo diventi più laborioso farlo, non è mai troppo tardi per cambiare sé stessi. 

Se è vero che la nostra mente costruisce degli schemi è degli automatismi, è altrettanto vero che il nostro cervello ha una importante capacità di adattamento e cambiamento: si chiama proprio plasticità neuronale quella meravigliosa attitudine del nostro cervello a plasmarsi, evolvendo. E quindi se è fatto per costruire schemi, è altrettanto capace di cambiare i circuiti. Dal punto di vista neuronale ciò è possibile ma la vera resistenza è talvolta psicologica. 

Esitiamo all’idea di iniziare un percorso di miglioramento personale perché non sappiamo dove porterà. Pensiamo che verremo giudicati, che perderemo il nostro status sociale o il rispetto degli altri. 

Se solo potessimo smettere di rimuginare su questi possibili esiti negativi, ci potremmo concentrare sull’alternativa. Se avessi successo nel mio cambiamento? E se fossi felice della nuova vita? Se non proviamo, non lo sapremo mai. Ci potremo consolare con l’idea che abbiamo evitato di fare un errore e risparmiato energie, senza pensare mai a quanto avremmo potuto essere felici.

“Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiare se stesso.”

― Lev Tolstoj

Speranza ai tempi del Covid, ha senso parlarne?

Sono passati quasi due anni dall’inizio della pandemia e, per il momento, pare non vedersi la fine. Due anni di costante preoccupazione hanno avuto un impatto su tutti, su chi si sentiva forte e stabile e su chi aveva già qualche fragilità. Nessuno è stato risparmiato, anche se non tutti abbiamo pagato lo stesso prezzo. Abbiamo anche assistito ad un picco di nuovi malesseri psicologici oltre che al riattivarsi di vecchi disagi. 

Quindi, chi più, chi meno, ci siamo tutti sentiti invasi da sentimenti di disperazione o paure, passando da un’iniziale incredulità e sgomento al ritrovarci ad essere più cinici di prima. Tutti sintomi di stanchezza psicologica ed impotenza emotiva e mentale. 

Speranze disattese 

Questa stanchezza mentale non è arrivata subito, all’inizio eravamo tutti spaventati dal nuovo e pericoloso virus, ma c’era speranza.
“Altre due settimane e torneremo alla normalità” ci dicevamo. 

Le settimane però si sono trasformate in mesi. Nonostante ciò, la nostra speranza collettiva si è rinnovata con una nuova aspettativa: sei mesi al lancio del vaccino, altri sei mesi fino all’immunità di gregge. Insomma, il tempo che passava era cadenzato dall’attesa di un domani diverso, della fine di questa situazione, del ritorno a ciò che era. 

Ora invece abbiamo talvolta la sensazione di essere tornati al punto di partenza con la possibilità dell’imposizione di nuovi blocchi ed un virus che sembra non voler demordere.
“La curva è in rialzo“. Il semplice atto di leggere queste poche parole è ora sufficiente per gettare chiunque nella sconsolazione e nella negatività. Eppure, non possiamo permettere che questo accada. Se non ci prendiamo cura del nostro benessere mentale, nessuno lo farà per noi. Ciascuno, infatti, può fare solo per sé nel cercare nel proprio mondo interno delle risorse mentali ed emotive per far fronte a questa situazione. 

Mentre ci avviciniamo alla fine dell’anno, la maggior parte di noi sarà incline a dire riguardo al 2021 “finalmente ci liberiamo di quest’anno!”, proprio come abbiamo fatto l’anno scorso. La domanda che ci possiamo porre è come possiamo uscire da questo anno con la sensazione che non sia passato invano. Con la forza del periodo natalizio forse è il momento di rivalutare i momenti vissuti in questi mesi: se non possiamo modificare ciò che accade, possiamo cambiare il nostro approccio e la nostra reazione a ciò che ci succede. 

Certo, prima nutrivamo la speranza che tutto si potesse risolvere rapidamente, meglio, diversamente… Ma questo perché non avevamo nella nostra memoria vicende simili da prendere come riferimento. L’immaginario collettivo all’interno di una tale circostanza si è ora ridimensionato, è arrivato il momento di ritornare a vivere. Prendere coscienza che non  possiamo prevedere né controllare tutto è il primo passo, cercare un adattamento funzionale è il secondo. Ma cosa significa adattamento funzionale? 

Concentrarsi sul positivo

Proviamo a dimenticare il mondo esterno per un momento e a guardarci intorno.  

Come possiamo cercare di vedere il positivo in questa situazione? Si tratta banalmente di vedere il bicchiere mezzo pieno invece che mezzo vuoto? Diciamo che potremmo intenderla come un tentativo di vedere ciò che c’è invece di ciò che manca o che non c’è più. Di partire da quello che abbiamo per cercare di cogliere le opportunità, in questo momento, con queste risorse. 

Potremmo imparare questa modalità dalla natura: questa si rigenera sempre, si rinnova e riparte da quello che c’è in quel momento. Immaginiamo un incendio che distrugge una foresta. Sembra tutto morto ma poi la foresta riparte a rigenerarsi da ciò che è rimasto, un virgulto, una piantina, un seme. Certo, non ha alternative. Nemmeno noi  ne abbiamo. Ruminare e fissarci su com’era, su come dovrebbe essere, ci fa perdere di vista ciò che c’è ora. Ma da questo si può ripartire. Solo da questo. 

Per combattere la stanchezza psicologica è necessario mettere le cose in prospettiva. 

La forza che abbiamo mai pensato di avere 

Le prove della vita in tempi di Covid si sono forse fatte più aspre ma, avendole superate, ne siamo usciti fortificati, cambiati. Pensiamoci: se qualcuno ci avesse detto nel 2019 che avremmo affrontato due anni di un’orribile pandemia, non ci avremmo creduto. Eppure, eccoci qui. Mentalmente esausti e forse anche un po’ depressi, ma ce l’abbiamo fatta. Un giorno alla volta abbiamo attraversato chiusure, distanze, limitazioni, perdite. Non si tratta di sopravvivere al solo virus, ma a questo periodo terribile con tutte le sue difficoltà. E ci siamo riusciti attingendo a delle risorse interne che forse nemmeno pensavamo di avere. 

Rivalutare le priorità

Prima eravamo abituati ad andare tranquillamente al ristorante o a fare shopping, a volte quasi anche in modo automatico: poi  abbiamo scoperto che questa routine non era poi così scontata. 

Questo ha portato alcuni di noi nello sconforto e forse qualcuno è rimasto in questa condizione. Qualcun altro, invece, ha colto l’occasione per scoprire dinamiche nuove, abitudini diverse, piaceri dimenticati…. Durante gli interminabili lockdown molti hanno riscoperto altri aspetti della vita: passare un tranquillo pomeriggio di relax, fare una passeggiata vicino casa, stare con la famiglia… Abbiamo realizzato che avere una vita sociale attiva è importante, ma lo è anche passare del tempo con se stessi o con i propri cari.

Durante la pandemia quindi, molte persone hanno riscoperto la gioia di godersi le piccole cose, un’abitudine che vale la pena di mantenere anche quando le restrizioni saranno completamente tolte. L’abitudine di prendere il meglio anche dalle situazioni che non possiamo controllare, vivendo pienamente. L’abitudine a vivere il “qui e ora”. 

Godiamoci il momento

Con l’avvicinarsi delle vacanze invernali, entrando nell’atmosfera natalizia, è quindi importante riconoscere che ci sono ancora molte cose di cui essere felici. 
Lasciamo andare la rabbia, il rancore e la negatività legati al passato e rivolgiamoci con disponibilità al futuro. Certo, in momenti di criticità la rabbia ci permette di reagire, ci offre un capro espiatorio esterno cui dirigere la nostra paura e la nostra frustrazione. Ma in questo caso la rabbia, se pur condivisibile, può logorarci. Ci fa perdere la possibilità di goderci il qui e ora, il momento. Ci fa ancorare a posizioni rigide, talvolta intransigenti ed irrazionali. A volte il nemico non è fuori ma dentro di noi. Ci segue come l’ombra e può prendere il sopravvento: ecco che allora la paura diventa il criterio su cui prendiamo le decisioni. Ma la paura non è mai una buona consigliera. 

Allora che si può fare? Se l’immaginario collettivo non ci aiuta possiamo andare a cercare altri riferimenti interni, magari semplicemente recuperare la saggezza dei nostri nonni: “se è andata così, doveva andare così”.

Non è semplice fatalismo o passività, è quella saggezza antica che ha sempre aiutato chi ci ha preceduto a superare le avversità della vita. Recuperarla significa concedersi di pacificarsi con sé e aprirsi alla possibilità di cogliere le reali opportunità che questo momento della vita ci riserva. Viceversa ci lasciamo solo invadere  e logorare da emozioni “tossiche” che imbrattano il nostro “qui e ora” e soffocano ogni possibilità di rigenerazione.
Lasciamoci alle spalle la rabbia e la paura che ci hanno portato fino a qui e apriamoci, preparandoci ad accogliere serenamente e con positività l’anno nuovo.

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Rimedi naturali: meglio degli psicofarmaci?

In un precedente articolo abbiamo parlato dell’importanza e degli effetti benefici del pensiero positivo. Da solo però a volte non basta: in alcuni momenti di difficoltà le parole non sono sufficienti per combattere malesseri più profondi. Le emozioni infatti originano da reazioni chimiche nel cervello, non sono questione di “volontà” e per  questo motivo talvolta può essere opportuno assumere dei farmaci o rimedi per gestire meglio i sintomi

Sostanze come serotonina, norepinefrina o dopamina, appunto, influenzano negativamente l’equilibrio emotivo. Per contrastare queste reazioni spesso il medico potrebbe proporre l’uso di psicofarmaci che però in quanto sostanze “sintetiche” sono accolti con perplessità e riluttanza dalle persone. Al contrario, curarsi con prodotti naturali è considerato più sicuro, e senza controindicazioni. 

Ma i rimedi naturali sono davvero più efficaci? Perché si usano gli psicofarmaci? 

L’efficacia dei Rimedi naturali

Questa medicina è naturale, di sicuro è meglio degli psicofarmaci! Non fa male e va bene per tutti.”

Credenza comune

L’utilizzo di medicine alternative naturali per la cura di diverse patologie, tra cui depressione e ansia, è in rilevante e continua crescita. Il fatto poi che per questi rimedi naturali, spesso a base di erbe, non serva una ricetta, ne facilita reperibilità e assunzione. È proprio la facile reperibilità e il fatto che siano principi attivi naturali a far pensare che queste erbe siano efficaci. È importante ricordare però che anche una cosa naturale è fatta da elementi chimici e, come gli psicofarmaci, attiva reazioni chimiche quando assunta.

Certo, l’efficacia di alcuni rimedi naturali è comprovata: pensiamo all’ipericum (Erba di San Giovanni), antidepressivo già usato da Ippocrate, al Ginkgo Biloba, utile per rallentare il decadimento della memoria e per rafforzare antidepressivi, o alla lavanda e alla valeriana, buone per alleviare l’ansia.

Ognuno di questi è però efficace solo nella cura di determinati sintomi ed è quindi importante chiedere a un medico esperto di fitoterapia, o al farmacista di fiducia, prima di assumerli. 

Non tutti i rimedi naturali sono efficaci.

Attenzione a questo fatto perché, sebbene i rimedi naturali possano essere usati da moltissime persone, non è detto che siano davvero efficaci nel trattare i sintomi dei malesseri sentiti. Non tutti i composti in commercio hanno la stessa efficacia e questo dipende da molti fattori. Inoltre alcuni principi attivi o erbe, per quanto decantati, non possiedono nessun reale effetto dimostrato. È quindi importante controllare sempre con attenzione l’effettiva validità delle erbe che si assumono, prendendo come riferimento ricerche scientifiche che ne confermino l’impatto positivo e confrontandosi sempre con il proprio medico curante per assicurarsi che non abbiano controindicazioni.  Così facendo, evitiamo effetti non positivi, da non sottovalutare visto che comunque parliamo di rimedi naturali che sebbene non siano psicofarmaci rimangono sostanze medicinali.

Psicofarmaci e terapia

Sorge spontanea a questo punto la domanda: ma allora non bastano i rimedi naturali? Oppure ha senso assumere psicofarmaci? A volte sì, ha senso. Se la terapia non basta, il metodo terapeutico più efficace consiste nell’affiancarle la farmacoterapia. Ciò non significa che soffriamo di un problema grave, ma semplicemente che abbiamo bisogno di una mano per  mitigare i sintomi di base mentre si interviene sulla mente e sulle relazioni interpersonali che stanno alla radice del problema.

Quindi i trattamenti psicologici usano un metodo terapeutico in cui si uniscono farmaci somministrati, parole dette e discorsi fatti con pazienti. Operativamente, questo percorso è determinato dal terapeuta, che fa una scelta in base alle caratteristiche e alle necessità del malessere riconosciuto attraverso la diagnosi.

La potenza della parola nei riguardi delle cose dell’anima sta nello stesso rapporto della potenza dei farmaci nei riguardi delle cose del corpo.

Gorgia

È solo dopo un attento percorso di diagnosi insomma, che vengono effettivamente somministrati gli psicofarmaci. Ovviamente, è normale voler essere cauti quando questo ci viene proposto, anche perché l’abuso di farmaci è un problema comune, però se il medico lo suggerisce significa che in quel momento può essere di aiuto.

Certo, gli psicofarmaci (come anche i rimedi naturali) possono avere controindicazioni, però la vera dipendenza non è dal farmaco ma dalla malattia, che condiziona la nostra vita. Il disturbo che ci affligge è uno squilibrio neurochimico, una malattia come altre malattie. Per uscire da un tale momento di difficoltà è importante affidarsi a un professionista che ci accompagni in un percorso di guarigione.

“La felicità più grande non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarsi sempre dopo una caduta.”

Confucio

L’importanza della terapia

In conclusione, erbe e rimedi naturali sono sicuramente un’opzione da valutare nella terapia, senza dimenticare che anch’esse contengono principi chimici e quindi devono essere assunte con cautela.

Invece di comprare autonomamente questi rimedi in erboristeria o farmacia è necessario avere fiducia nel proprio terapista, valutando le alternative senza però stigmatizzare un utilizzo farmacologico che potrebbe essere la via più efficace verso la guarigione. Va quindi superata la paura che talvolta attanaglia la persona: “se devo prendere un farmaco allora significa che sono malato…” Il malessere è presente a prescindere. Non è il farmaco il problema ma il dolore che ci portiamo dentro. Il farmaco può essere quindi un “aiutante” nel percorso personale di guarigione, anche se da solo non basta: sta a noi iniziare un cammino verso lo stare meglio. 

Il vantaggio del farmaco, rimedio naturale o non, è che aiuta a ripristinare l’equilibrio neurochimico. La terapia va ad agire su questi stessi circuiti, lavorando dall’interno su schemi mentali, pensieri ed emozioni che stanno alla base dei malesseri. La terapia da sola però può avere tempi più lunghi e può essere quindi utile associarle una cura farmacologica. Ad esempio nella depressione l’umore migliora con i farmaci ma anche, parallelamente, grazie a esercizi di pensiero positivo e psicoterapia.

Quindi quando si prende un farmaco è importante che a questo si affianchi la terapia. Grazie a un percorso sviluppato con costanza, guidati dal medico, è infatti possibile migliorare e cambiare: bisogna solo fare il primo passo.

“Una torre alta nove piani incomincia con un mucchietto di terra. Un lungo viaggio di mille miglia si comincia col muovere un piede.

Lao Tzu
Psicoterapia-Rimedi-Naturali
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Cosa c’è dietro la perfezione dei perfetti?

Il disturbo d’ansia di solito è ben riconoscibile. Un attacco di panico è difficilmente dimenticabile mentre chi soffre di ansia generalizzata, ad esempio, vive una vita in un perenne stato di agitazione, caratterizzata da preoccupazioni e pensieri debilitanti costanti. 

Eppure esiste un tipo d’ansia che si maschera dietro comportamenti di persone  apparentemente di successo, performanti, produttive; i cosiddetti “bravi”, perfetti in ogni aspetto della loro vita. Questo tipo d’ansia viene comunemente chiamato ansia ad alto funzionamento e, sebbene sia difficile da identificare, è più frequente di quanto si pensi. 

Ma andiamo con ordine e capiamo come si manifesta, crea e risolve questo disagio psicologico.

Come si manifesta

L’ansia ad alto funzionamento è una forma di ansia che possono vivere quelle persone che sono alla costante ricerca della perfezione in tutto ciò che fanno. Sono l’immagine del successo: sempre presenti, preparati, puntuali e impeccabili. Può sembrare che questo tipo di ansia sia una buona cosa, che in qualche modo renda più facile fare le cose o avere successo. 

Ma non è tutto oro quello che luccica!  

Ciò che si nasconde sotto la superficie di un aspetto apparentemente perfetto, è un turbinio di ansie costanti. A differenza da altri disturbi d’ansia, chi soffre di ansia ad alto funzionamento calma queste preoccupazioni colmando le loro giornate di lavoro e impegni senza dedicarsi un momento di pausa. 

Le caratteristiche dell’ansia ad alto funzionamento possono essere percepite dagli altri come parte della personalità. Altre caratteristiche dell’ansia ad alto funzionamento, invece, sono interne e potrebbero non essere mai notate dagli altri, nonostante causino molto stress.

Caratteristiche principali
  • Bisogno di piacere e confrontarsi con gli altri
    • Paura di allontanare o deludere le persone, di essere un cattivo amico, coniuge e dipendente; paura di deludere gli altri, di non all’altezza delle aspettative; necessità di rassicurazione chiedendo indicazioni più volte o controllando frequentemente gli altri.
  • Costante sovraccarico di impegni
    • Incapacità di dire “No”, rilassarsi e “godersi il momento”
  • Pensiero eccessivo
    • Ruminazione e tendenza a soffermarsi sul negativo
  • Gestione del tempo non ottimale
    • Tempo perso arrivando troppo presto agli appuntamenti o procrastinazione seguita da lunghi periodi di lavoro intenso
  • Stanchezza mentale-fisica e insonnia
    • Difficoltà ad addormentarsi o svegliarsi presto e non essere in grado di riaddormentarsi
  • Vita sociale limitata
    • Rifiutare gli inviti
  • Difficile da leggere
    • Altri pensano che tu sia stoico, privo di emozioni, freddo

Come si crea 

L’origine di questo disturbo viene di solito associata al contesto sociale ed economico nel quale viviamo che spinge l’individuo alla performance, a dare il massimo e mostrare risultati tangibili e costanti. Si pensa che sia il sistema scolastico o l’ambiente lavorativo ad essere tossico e disfunzionale. Tuttavia, sebbene abbia grande rilevanza, è solo una parte del problema

Questa ricerca della perfezione, infatti, ha inizio soprattutto nell’educazione familiare guidata, ad esempio, dal classico concetto “se mi vuoi bene devi andare bene a scuola”. Considerando il ruolo determinante della famiglia nello sviluppo psicologico di ogni individuo, specialmente in tenera età,  questa apparente innocua frase motivazionale può dare il via di una connessione logica-mentale dannosa: se non si dà prestazioni, si va a deludere o a rovinare il rapporto con il genitore o la persona cara.  Si iniziano a creare quindi le basi di una gabbia da auto mantenere, un circolo vizioso che si autoalimenta con il tempo. 

Ansia ad alto funzionamento e Autostima

L’ansia ad alto funzionamento, difatti, ha profonde radici a livello di autostima. È un meccanismo che fa confondere il valore con la prestazione, la mentalità di crescita con il bisogno di mantenere l’immagine di sé. Ci si sente adeguati solo quando si ottengono risultati, come se fossero essi a definire il valore della persona e non l’essere in sé. Di conseguenza, questi risultati vengono immediatamente e automaticamente giudicati considerando un’ottica esterna, quella delle altre persone, ignorando il vero significato personale di essi. 

Una persona con ansia ad alto funzionamento raggiunge il successo non tramite una sana consapevolezza delle proprie potenzialità, motivazione e perseveranza, ma tramite l’energia nervosa, la paura di fallire e di deludere gli altri.


Come si gestisce

È evidente che questa ricerca alla perfezione richiede molte energie ed è normale che alla fine sfoci in alti livelli di stress.  Chi chiede aiuto psicologico per risolvere il disturbo di ansia ad alto funzionamento sono proprio i “bravi”; non perché riconoscono il problema alla base ma perché percepiscono la propria condizione troppo delicata, il cui prezzo da pagare in caso di errore è enorme. Sentono la pressione della propria immagine esageratamente pesante per poter proseguire i loro obiettivi e cercano una soluzione per alleviare quel peso, senza rendersi conto che sono proprio la loro attitudine e gli standard dei propri obiettivi l’origine della loro sofferenza.

Tuttavia, se ti ritrovi in questa descrizione o conosci qualcuno che sta vivendo qualcosa di simile, sappi che non è irrisolvibile, anzi, ci sono modi per gestire e superare questo circolo vizioso.

In ambito terapeutico, i disturbi d’ansia di questo genere sono solitamente trattati tramite la combinazione di terapia cognitivo-comportamentale e tecniche di training autogeno e mindfulness. L’obiettivo di tale trattamento è quello di sbloccare la persona dagli auto condizionamenti per permetterle di esprimere la propria essenza liberamente, placando i sintomi psicofisici dovuti allo stress.

Strategie per superare l’ansia ad alto funzionamento

Tra le strategie per superare l’ansia ad alto funzionamento, realizzare che la perfezione non esiste è tra le prime. Ognuno ha i propri limiti e tempi; solo accogliendo e comprendo la cosa si può effettivamente cambiare ed esprimere il meglio di sé. L’accettazione di sé è il primo passo per cambiare. Come dice Carl Rogers, 

“Il curioso paradosso è che quando accetto me stesso per come sono, allora posso cambiare.” 

Ciò significa che bisogna anche imparare a saper godere dei propri risultati. La soddisfazione è infatti la condizione primaria per riacquistare l’energia necessaria per ripartire. Per puntare alla tappa successiva bisogna essere prima soddisfatto di quella raggiunta; devo sentirmi soddisfatto nella condizione in cui sono e convincermi che era il meglio che si potesse fare. Perché spesso quello che viviamo non dipende solo da noi stessi; ci molte variabili in gioco che non sempre si possono controllare.

La ricerca della perfezione è tossica anche a livello relazionale. Offuscata da essa, si costruisce un atteggiamento tale per il quale vincere e avere risultati migliori hanno la priorità rispetto le persone e le relazioni costruite con esse.  Ma spesso, vincere non ne vale la pena. Per questo è importante imparare a saper perdere, analizzare e comprendere quando è il caso di lasciare andare in modo che anche altre persone possano sentirsi bene con se stesse. 

In conclusione,  il segreto è puntare ad un’armonia, avere un equilibrio nelle valutare le cose, le persone e contesti nei quali viviamo. La mentalità vincente è quella che sfrutta anche l’insuccesso come occasione. Quella che coglie il positivo ed estrae energia e motivazione dai propri successi o insuccessi. Una delle frasi più note di Denis E. Waitley, famoso oratore e consulente motivazionale, dice:

“I perdenti vedono dei temporali, i vincenti vedono degli arcobaleni. I perdenti vedono strade ghiacciate, i vincenti mettono i pattini da ghiaccio!”

Denis E. Waitley

Quindi cambiamo prospettiva, prendiamo la vita con meraviglia, divertimento e riflessione. Mettiamoci ai piedi i pattini e pattiniamo leggeri sulle strade della vita!

@hhansonlu

Curare l’ansia con la respirazione

Il respiro è vita. Un atto così semplice, intuitivo e naturale al quale però molto spesso non diamo importanza. Eppure, una corretta respirazione stimola e controlla tutto il corpo e le sue funzioni vitali, condizionando i nostri stati emotivi e fisici. Questa respirazione prende il nome di respirazione addominale e sta alla base di una vita sana ed equilibrata. Ma cerchiamo di capire meglio che cosa è, cosa ha di speciale e quali sono i suoi vantaggi.

La respirazione addominale

La respirazione addominale conosciuta anche come respirazione ventrale o diaframmatica, è un tipo di respirazione che avviene con il movimento del diaframma, un muscolo inspiratorio a forma di cupola che si trova al centro del tronco sotto i polmoni,  separando la cavità toracica con quella addominale. Durante l’inspirazione, il diaframma si contrae verso il basso appiattendosi e creando un effetto “sottovuoto” che espande i polmoni spingendo l’aria nei polmoni; quando invece torna a riposo (espirazione), i polmoni vengono retratti e l’anidride carbonica fuoriesce.

Benefici respirazione addominale

  • Riduce i livelli di stress e cortisolo
    • Combatte la tachicardia
    • Regolazione stato emotivo e recupero dello stress
  • Aumenta la consapevolezza del proprio corpo
    • Passaggio da un’azione involontaria a una consapevole tramite il controllo di ritmo, ampiezza e durata.
  • Scarico di tensione muscolare
    • Diminuzione di contratture muscolari
  • Diminuisce la pressione arteriosa
  • Migliora i processi vitali dei nostri organi
    • Funzioni digestive e addominali
    • Sonno
  • Migliora la resistenza all’esercizio fisico intenso

La respirazione addominale è, a livello teorico, lo stato fisiologico e spontaneo della respirazione; se guardiamo i fatti però, notiamo che la maggior parte delle persone sviluppa prevalentemente una respirazione di tipo toracico, non fisiologica e meno profonda di quella addominale. Questa avviene tramite la contrazione dei muscoli intercostali interni che ampliano e restringono la cassa toracica.  Ciò che ci ostacola e influenza negativamente maggiormente la corretta respirazione sono le nostre abitudini di vita e i costanti stati di ansia e stress: essi ci conducono a “trattenere il fiato” inconsapevolmente e bloccare il diaframma nella posizione inferiore del torace, non permettendo all’aria di fluire come dovrebbe. Una persona che si trova in una situazione di stress molto intenso o di ansia, quindi, tende ad avere il diaframma rigido e una respirazione superficiale di petto.

Altre conseguenze di una respirazione scorretta

  • Dolori e tensioni muscolari – accumulo dolori nel collo, spalle e parte superiore della schiena.
  • Postura scorretta
  • Problemi di stomaco e intestino
  • Incapacità di rilassarsi
  • Aumento tachicardia

E tu, che tipo di respirazione utilizzi?

Se ti è venuta la curiosità di capire se la tua respirazione è corretta o meno, appoggia una mano sul tuo stomaco e una sul torace. Mentre respiri, porta attenzione sul movimento al di sotto delle mani: se senti la pancia espandersi quando stai inspirando e il torace rimane fermo, buone notizie, significa che stai respirando correttamente con il diaframma. Se invece è il contrario, la respirazione è di tipo toracico e va corretta.

Ma non disperarti! Come qualsiasi altro muscolo, il diaframma si può allenare per raggiungere il massimo delle potenzialità attraverso piccoli esercizi quotidiani.

Esercizio 1 – allena la respirazione diaframmatica

  1. Prima di tutto trova un luogo tranquillo e libero sgombro dove poter eseguire l’esercizio a terra. Per maggiore comodità puoi utilizzare un materassino da yoga.
  2. Stenditi a terra in posizione supina con le gambe piegate
  3. Posiziona i piedi a circa 20 centimetri l’uno dall’altro, con le piante saldamente appoggiate a terra
  4. Fai un respiro profondo e rilassati
  5. Come per il test precedente, posiziona una mano sull’addome e una sul torace
  6. Inizia a respirare con il naso, cercando di far alzare soltanto la mano appoggiata sull’addome ad ogni inspirazione
  7. Espira dalla bocca, continuando a focalizzarti sui movimenti del tuo corpo
  8. Ripeti altre dieci volte

Esercizio 2 – rafforza il diaframma

  1. Anche qui, trova un posto tranquillo dove poter allenarti
  2. Stenditi a terra in posizione supina con le gambe piegate e posiziona i piedi a circa 20 centimetri l’uno dall’altro, con le piante saldamente appoggiate a terra
  3. Poggia entrambe le mani intorno alla base della gabbia toracica, con i pollici che poggiano sui lati del torace, rivolti verso il pavimento (dovrebbero toccare l’ultima costola sul fianco del torace) e le altre dita distese lungo il torace. Se hai una gabbia toracica di dimensioni ridotte le dita di entrambe le mani potrebbero anche toccarsi
  4. Premi i pollici contro le costole per ottenere una leggera resistenza al loro movimento
  5. Concentrati nel espandere le costole più che puoi, di modo che premano contro i pollici
  6. Tieni inizialmente gli occhi aperti in modo da poter visualizzare il movimento del diaframma mentre si espande
  7. Ad ogni inspirazione allontana leggermente le mani l’una dall’altra e riavvicinale quando espiri
  8. Continua a respirare in questo modo, opponendo resistenza all’espansione della gabbia toracica, per dieci respirazioni
  9. Una volta completato il ciclo, distendi le braccia a terra lungo i fianchi e respira per altre dieci volte
  10. Ripeti l’esercizio per altri due cicli
  11. Cerca di generare un movimento armonioso e uniforme, non meccanico

Sono centinaia di tecniche mirate a sviluppare una corretta respirazione ma quello che conta di più e fa la differenza è riuscire a raggiungere una buona libertà della muscolatura respiratoria e rendere la respirazione il più fisiologica possibile. Eseguendo questi due esercizi semplici e veloci anche per soli 10 minuti al giorno o prima di un evento importante/stressante, stimolerai la respirazione addominale e rafforzerai il diaframma allenando sempre di più il tuo corpo ad affrontare l’ansia e diminuirne i sintomi!