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Affrontare la sindrome da burnout: strategie per il benessere psicologico in Italia

In Italia, una recente indagine condotta da GoodHabitz, piattaforma internazionale per la formazione aziendale, ha rivelato che un’ampia percentuale di lavoratori lotta in silenzio contro i problemi legati al malessere mentale sul luogo di lavoro. Secondo i dati emersi, ben una persona su due è alle prese con stress e burnout, mentre un significativo 13% ha dichiarato di aver sperimentato questi fenomeni in modo molto intenso. Queste cifre mettono in evidenza una preoccupante lacuna nella comunicazione tra dipendenti e manager riguardo alla salute psichica.

L’indagine, condotta in collaborazione con l’agenzia Markteffect, ha coinvolto oltre 24.000 lavoratori a livello globale, di cui circa 1.280 in Italia, compresi tra i 25 e i 65 anni. Lo studio ha analizzato diversi aspetti legati all’evoluzione del benessere sul luogo di lavoro nel contesto attuale.

Uno degli aspetti più rilevanti emersi dall’indagine è che solo il 50% dei lavoratori si sente a proprio agio nel discutere all’interno dell’azienda di ansia, attacchi di panico e altri disturbi mentali. Questo dato sottolinea l’importanza di promuovere ambienti lavorativi in cui le conversazioni aperte sulla salute mentale siano attivamente incoraggiate e supportate.

La gestione dello stress è emersa come una delle abilità chiave in grado di influenzare positivamente il benessere lavorativo, con il 35% dei partecipanti che lo considera fondamentale.

Questi dati riflettono la necessità urgente di promuovere una cultura aziendale che valorizzi e supporti il benessere psicologico dei dipendenti. Fornire risorse e strumenti per gestire lo stress e prevenire il burnout, insieme a un ambiente di lavoro che favorisca la comunicazione aperta e il supporto reciproco, sono passi fondamentali per migliorare la salute mentale sul luogo di lavoro e promuovere un benessere complessivo.

Comprendere la sindrome da burnout

L’approccio al lavoro è un elemento cruciale nel contesto della sindrome da burnout, poiché influisce significativamente sulle motivazioni, sul senso di identità e sulle aspettative connesse al proprio impiego. Possiamo osservare una vasta gamma di prospettive nei confronti del lavoro, che vanno dalla percezione del lavoro come una vocazione personale fino alla mera necessità di sostentamento economico. Queste varie sfaccettature dell’approccio al lavoro possono avere un impatto significativo sul livello di coinvolgimento emotivo e psicologico dei lavoratori, influenzando direttamente il rischio di burnout.

Per molti individui, il lavoro rappresenta molto più di una semplice attività remunerativa; è una vocazione che riflette la propria identità e il proprio valore personale. Questi individui possono sentirsi profondamente investiti emotivamente nel loro lavoro, trovando gratificazione nel sentirsi utili e riconosciuti nel contesto professionale. Tuttavia, questa stessa profonda identificazione con il lavoro può anche renderli più vulnerabili al burnout, poiché le aspettative personali e sociali legate al lavoro possono essere estremamente elevate.

Al contrario, per altri individui, il lavoro può essere percepito principalmente come un mezzo per garantire il sostentamento finanziario, senza alcun legame significativo con l’identità personale o il valore intrinseco. Questi individui possono investire meno emotivamente nel proprio lavoro e possono essere meno inclini a sperimentare un senso di realizzazione personale attraverso l’occupazione. Tuttavia, anche loro possono essere soggetti al burnout, specialmente se il lavoro diventa fonte di stress e pressione costanti.

Inoltre, per alcuni individui, il lavoro può rappresentare un’opportunità per autoaffermarsi e riscattarsi da situazioni di inadeguatezza o fallimento passato. In questi casi, il lavoro può assumere un significato particolarmente rilevante nel processo di costruzione dell’autostima e della sicurezza personale. Tuttavia, questo stesso desiderio di autoaffermazione può portare a un impegno eccessivo nel lavoro, con conseguente rischio di burnout.

È importante riconoscere che ciascuno ha un proprio livello di tolleranza allo stress e al carico lavorativo. Ciò che potrebbe essere fonte di piacere e gratificazione in un primo momento, come il sentirsi utile e riconosciuto, potrebbe diventare fonte di stress e frustrazione se le richieste lavorative diventano eccessive e non ci si sente in grado di dire di no. In questa situazione, si verifica una graduale erosione del senso di identità e sicurezza personale, poiché il valore personale diventa sempre più legato al soddisfacimento delle aspettative lavorative esterne.

Il burnout si sviluppa quindi come risultato di una complessa interazione tra le aspettative personali e sociali legate al lavoro, il carico lavorativo e lo stato emotivo e psicologico del singolo individuo. È essenziale valutare attentamente se la nostra capacità di adattamento al contesto lavorativo è sufficiente a gestire le richieste o se le stesse sono effettivamente eccessive. In alcuni casi, potremmo dover imparare a mettere una distanza emotiva tra noi stessi e il lavoro, mentre in altri potremmo essere costretti a considerare un cambiamento di ambiente lavorativo. L’importante è riconoscere che il burnout non è necessariamente una conseguenza della nostra incapacità personale, ma può essere influenzato dalle condizioni lavorative e dalle aspettative esterne.

Identificare i segnali premonitori

Riconoscere i segnali precoci della sindrome da burnout è cruciale per intervenire tempestivamente e prevenire il peggioramento della situazione. Questi segnali possono manifestarsi in modi diversi e possono variare da persona a persona, ma è fondamentale essere consapevoli dei campanelli d’allarme che indicano un potenziale rischio di burnout.

Uno dei segni più evidenti è una crescente sensazione di stanchezza e esaurimento, che va oltre la semplice fatica fisica e si manifesta come una costante sensazione di affaticamento mentale ed emotivo. Questo senso di stanchezza può rendere difficile anche svolgere le attività quotidiane più semplici e può portare a un calo significativo delle energie e della motivazione.

La difficoltà a concentrarsi è un altro segnale precoce da tenere d’occhio. Le persone che stanno attraversando un periodo di burnout spesso trovano difficile focalizzarsi sulle attività lavorative o anche su compiti che una volta consideravano stimolanti e interessanti. Questo può influire negativamente sulle prestazioni sul lavoro e aumentare ulteriormente il senso di frustrazione e inefficacia.

La perdita di interesse per le attività precedentemente piacevoli è un sintomo comune del burnout. Le persone possono scoprire che non provano più gioia o soddisfazione dalle attività che una volta li rendevano felici e soddisfatti. Questo può portare a un senso di vuoto emotivo e a una diminuzione complessiva del benessere emotivo.

L’irritabilità e l’ansia sono altri segnali che possono indicare un potenziale burnout in arrivo. Le persone che si trovano sotto stress e pressione costanti possono diventare più irritabili e reagire in modo esagerato a situazioni che normalmente non causerebbero problemi. L’ansia può anche aumentare, portando a una sensazione costante di apprensione e preoccupazione per il futuro.

Se noti uno o più di questi segnali in te stesso o in qualcuno che conosci, è importante prendere sul serio queste indicazioni e cercare aiuto professionale senza indugiare. Un intervento tempestivo può fare la differenza nel prevenire il burnout e favorire un recupero rapido e completo. Non ignorare i segnali precoci e non esitare a chiedere supporto quando ne hai bisogno. La tua salute mentale è preziosa e merita attenzione e cura.

Approcci terapeutici efficaci

Come psicoterapeuti, abbiamo a disposizione una vasta gamma di approcci terapeutici per aiutare i nostri pazienti a superare la sindrome da burnout. Uno degli approcci più efficaci è la terapia cognitivo-comportamentale (TCC), che si concentra sull’identificazione e sulla modifica dei pensieri distorti e dei comportamenti disfunzionali che contribuiscono al burnout. Attraverso la TCC, i pazienti imparano a gestire lo stress in modo più efficace, a impostare limiti sani e a sviluppare strategie di coping adattive.

Inoltre, la terapia di gruppo può essere estremamente benefica per coloro che affrontano la sindrome da burnout. Partecipare a gruppi di supporto offre l’opportunità di condividere esperienze simili con gli altri, ricevere sostegno reciproco e imparare nuove strategie di gestione dello stress. Il sostegno sociale è un fattore chiave nel processo di guarigione dal burnout e partecipare a una comunità di individui che comprendono le sfide che stai affrontando può essere incredibilmente motivante e confortante.

Pratiche di auto-cura e prevenzione

Oltre alla terapia professionale, è importante integrare pratiche di auto-cura nella propria routine quotidiana per prevenire il burnout e promuovere il benessere psicologico. Questo può includere l’esercizio regolare, la meditazione, il tempo trascorso all’aperto nella natura, il mantenimento di un equilibrio tra lavoro e vita personale e il coltivare relazioni significative con gli altri. Anche piccoli cambiamenti nella routine quotidiana possono fare una grande differenza nel ridurre lo stress e migliorare il benessere emotivo complessivo.

Conclusione

La sindrome da burnout può avere un impatto significativo sulla salute mentale e sul benessere complessivo di un individuo, ma non è una condanna definitiva. Con il supporto adeguato e le giuste strategie di coping, è possibile superare il burnout e tornare a godere di una vita piena e appagante. Come psicoterapeuti, è nostro compito fornire un ambiente sicuro e di sostegno per i nostri pazienti mentre affrontano questa sfida e guidarli lungo il percorso verso la guarigione e il benessere psicologico duraturo.

Bibliografia:

“La sindrome del burn-out”, C. Cherniss, Centro Scientifico Torinese;

“Burn-out, mobbing e malattie da stress. Il rischio psico-sociale e lo stress lavoro-correlato”, F. Pellegrino, G. Esposito, Positive Press;

“Burnout e organizzazione. Modificare i fattori strutturali della demotivazione al lavoro”, C. Maslach, M. P. Leiter, Erickson

https://www.ilsole24ore.com/art/due-lavoratori-italiani-tre-soffrono-stress-e-burnout-ma-poco-se-ne-parla-AFha9TDB

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All’altro verso: la magia del viceversa nelle relazioni di coppia

L’Equilibrio del Viceversa

Viviamo in un mondo frenetico e sempre più incentrato sull’individualismo, dove l’auto-realizzazione e il perseguimento del proprio benessere personale sono spesso considerati prioritari. Tuttavia, in questa corsa verso il successo individuale, è facile trascurare l’importanza dell’equilibrio e della reciprocità nelle relazioni di coppia.

Le relazioni sono come un delicato equilibrio in cui ogni partner contribuisce al benessere dell’altro, creando così un legame profondo e significativo. Tuttavia, in un’epoca in cui siamo spinti a concentrarci sul nostro successo personale, possiamo perdere di vista l’importanza di prendersi cura del benessere del nostro partner.

È fondamentale ricordare che una relazione sana non si basa solo sull’attenzione alle proprie esigenze, ma anche sull’impegno reciproco per il benessere dell’altro. Questo equilibrio dinamico, noto come “viceversa”, è il fondamento su cui si costruisce una connessione autentica e duratura.

In un mondo che spinge all’auto-centramento, è essenziale riscoprire il valore della reciprocità e dell’equilibrio nelle relazioni di coppia. Solo abbracciando il principio del viceversa possiamo veramente creare legami amorosi che nutrono e sostengono entrambi i partner nel cammino della vita.

La reciprocità emotiva

Il concetto di reciprocità emotiva va oltre il semplice atto di dare e ricevere. Si tratta piuttosto di un legame profondo in cui entrambi i partner si dedicano al benessere emotivo dell’altro con sincerità e compassione.

Nelle relazioni basate sulla reciprocità emotiva, non si tratta solo di essere presenti fisicamente per l’altro, ma anche di essere presenti emotivamente. Significa ascoltare attivamente i pensieri, i sentimenti e i bisogni del partner, mostrando empatia e comprensione senza giudizio.

In questo contesto, la felicità di ciascun partner è intrecciata con quella dell’altro. Ciò significa che trovare gioia nel vedere il partner felice diventa una fonte di gratificazione personale. Questo ciclo virtuoso di amore e sostegno reciproco crea un legame emotivo profondo e duraturo.

La reciprocità emotiva è il cuore pulsante di una relazione sana, in cui entrambi i partner si impegnano attivamente per coltivare una connessione autentica e significativa. È attraverso questo scambio genuino di affetto e sostegno che si costruisce una relazione che affronta le sfide della vita con forza e resilienza.

Differenze complementari

Le differenze all’interno di una coppia sono spesso percepite come fonte di conflitto, ma in realtà possono essere la chiave per un equilibrio armonioso. Ogni partner porta con sé una serie unica di esperienze, prospettive e qualità che, se gestite con rispetto e comprensione reciproci, possono arricchire notevolmente la relazione.

Le differenze complementari possono manifestarsi in molteplici modi: nel modo di affrontare le sfide, di gestire le emozioni, di comunicare e di prendere decisioni. Invece di vederle come ostacoli, è importante abbracciare queste diversità come opportunità per imparare e crescere insieme.

Quando le differenze sono accettate e rispettate, diventano un catalizzatore per la crescita personale e relazionale. Ogni partner ha l’opportunità di imparare dall’altro, integrando le qualità dell’altro nella propria vita e ampliando così il proprio punto di vista.

In una relazione basata sul principio del viceversa, le differenze non sono viste come motivo di divisione, ma come motivo di celebrazione. Ciò crea uno spazio in cui entrambi i partner si sentono valorizzati e accettati per ciò che sono, creando un legame profondo e autentico basato sulla fiducia e sulla diversità.

Collaborazione e condivisione

Piuttosto che competere o lottare per il controllo, i partner si impegnano attivamente a lavorare insieme per il bene della relazione.

La collaborazione si manifesta attraverso un impegno condiviso nel risolvere i problemi, affrontare le sfide e raggiungere gli obiettivi comuni. I partner si supportano reciprocamente, mettendo da parte l’egoismo e lavorando insieme verso una visione condivisa per il futuro.

La condivisione, d’altra parte, riguarda il dono di sé stessi e delle proprie risorse all’altro. Questo non si limita ai beni materiali, ma include anche la condivisione di esperienze, emozioni, sogni e speranze. Quando entrambi i partner si sentono liberi di aprirsi e condividere il proprio mondo interiore, si crea un legame profondo e intimo.

Nella collaborazione e nella condivisione, non ci sono distinzioni tra “io” e “tu”, ma solo un “noi” unito e solidale. I partner si sostengono l’un l’altro nei momenti di gioia e di tristezza, costruendo così una relazione fondata sulla fiducia, sulla lealtà e sulla reciproca gratitudine.

Individualità e autonomia

Nelle relazioni di coppia basate sul principio del viceversa, è fondamentale riconoscere e rispettare l’individualità e l’autonomia di ciascun partner. Questo significa che pur condividendo un legame profondo e intimo, entrambi conservano la propria identità e libertà.

L’individualità si manifesta nella diversità di interessi, passioni, obiettivi e personalità di ciascun individuo. In una relazione sana, è importante permettere a entrambi i partner di coltivare le proprie passioni e perseguire i propri scopi personali. Questo non solo favorisce la crescita individuale, ma arricchisce anche la relazione, poiché ogni partner porta nuove esperienze e prospettive nella coppia.

L’autonomia, d’altra parte, si riferisce alla capacità di ciascun individuo di prendere decisioni indipendenti e gestire la propria vita. Nelle relazioni basate sul viceversa, si incoraggia il sostegno reciproco senza compromettere l’autonomia di nessuno dei partner. Ciò significa rispettare il diritto di ciascuno di avere spazi personali e momenti di solitudine, nonché di prendere decisioni autonome che riguardano la propria vita.

Riconoscere e rispettare l’individualità e l’autonomia di entrambi i partner contribuisce a mantenere un equilibrio sano nella relazione. In questo modo, si evitano dinamiche di dipendenza o controllo e si favorisce un legame basato sulla fiducia reciproca e sulla libertà individuale. Questo permette ai partner di crescere insieme, mantenendo al contempo un senso di sé indipendente e una soddisfazione personale, fondamentali per il benessere individuale e della coppia nel suo complesso.

Celebriamo il viceversa

In conclusione, in un mondo che spesso promuove l’individualismo e l’auto-realizzazione, ricordiamoci dell’importanza del viceversa nelle relazioni di coppia. In questo San Valentino, celebriamo il potere del viceversa e rinnoviamo il nostro impegno nel coltivare un amore che fa del bene e sta bene, sia a noi stessi che al nostro partner.

Bibliografia

Chapman, G. (1992). I cinque linguaggi dell’amore. Gribaudi.

Fromm, E. (1956). L’arte di amare. Mondadori.

Alberoni, F. (2008). Essere coppia: Il rapporto di coppia come percorso di crescita individuale. Rizzoli.

“The Science of a Happy Relationship.” Psychology Today.

Murray, S. L., & Holmes, J. G. (2009). Reciprocity in Close Relationships: An Evolutionary Perspective. In Handbook of Interpersonal Psychology: Theory, Research, Assessment, and Therapeutic Interventions (pp. 142-159). Wiley.

“The Importance of Balance in Relationships.” The Gottman Institute.

TED Talks on Love. TED Conferences LLC.

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Oltre il mito del Blue Monday: strategie psicoterapeutiche per un inizio d’anno positivo

Il concetto di Blue Monday è stato introdotto da Cliff Arnall nel 2005 attraverso una formula che considera diversi fattori per decretare il giorno più triste dell’anno. Tuttavia, va notato che la formula di Arnall è stata criticata da numerosi esperti e professionisti del settore per la sua mancanza di validità scientifica. Molti considerano il Blue Monday come una sorta di trucco pubblicitario piuttosto che una rappresentazione accurata dello stato d’animo delle persone in quel particolare giorno.

Innanzitutto, la formula stessa è stata concepita in un contesto di marketing per promuovere una campagna pubblicitaria di una compagnia di viaggi. Gli elementi presi in considerazione nella formula, come il tempo trascorso dalle vacanze natalizie o i debiti accumulati, sono soggettivi e variano ampiamente tra le persone. La stessa idea di determinare il giorno più triste dell’anno attraverso una formula matematica è stata accolta con scetticismo da parte degli psicologi, che sottolineano la complessità della natura umana e il fatto che il benessere emotivo non può essere ridotto a un’equazione semplice.

Inoltre, il concetto di Blue Monday non tiene conto delle differenze individuali nella gestione dello stress, delle risorse personali e delle reti di supporto sociale. Le esperienze emotive delle persone sono influenzate da una varietà di fattori, tra cui la salute mentale, le relazioni interpersonali, il contesto di vita e le condizioni socioeconomiche.

È importante sottolineare che, anche se il Blue Monday non ha una base scientifica solida, il dibattito attorno ad esso ha contribuito a mettere in luce l’importanza della salute mentale e della consapevolezza delle sfide emozionali che molte persone affrontano durante l’inverno e all’inizio dell’anno. Invece di concentrarsi su un singolo giorno “triste”, gli esperti consigliano di considerare il benessere emotivo come un processo continuo che richiede attenzione e cura costanti. Affrontare il malumore stagionale richiede un approccio personalizzato che consideri la complessità delle esperienze individuali e promuova strategie di coping sostenibili e orientate al benessere.

Il malumore stagionale

Sebbene il Blue Monday possa mancare di validità scientifica, è innegabile che molte persone sperimentino un cambiamento emotivo all’inizio dell’anno. Questa variazione non può essere facilmente ridotta a un singolo giorno, ma piuttosto riflette un fenomeno più ampio di sfumature emotive stagionali.

Queste sfumature possono essere attribuite a diversi fattori che convergono all’inizio dell’anno. Dopo le festività natalizie, le persone spesso si ritrovano ad affrontare il ritorno alla routine quotidiana, l’affrontare eventuali debiti accumulati durante le celebrazioni, e il confronto con le condizioni meteorologiche invernali caratterizzate da giornate più brevi e temperature più basse.

Questo periodo di transizione può generare una gamma di emozioni che vanno oltre il semplice “malumore”. Stress, ansia e una sensazione di apprensione possono emergere a causa della pressione sociale per fissare obiettivi per il nuovo anno o per affrontare le sfide quotidiane.

In questo contesto, il supporto psicologico può giocare un ruolo cruciale nel comprendere e gestire queste sfumature emotive stagionali. Gli psicoterapeuti lavorano spesso con i loro pazienti per identificare le fonti di stress, esplorare strategie di coping personalizzate e promuovere un approccio completo al benessere emotivo.

È fondamentale considerare che le esperienze emozionali sono individuali e influenzate da molteplici fattori. Invece di concentrarsi su un giorno specifico di “tristezza”, è più utile esplorare come l’individuo affronta e reagisce alle sfide stagionali. Attraverso un approccio attento e personalizzato, è possibile sviluppare strategie di coping sostenibili e favorire il benessere emotivo continuo durante tutto l’anno.

Psicologia dei colori: il blu

Il colore blu, con la sua vasta gamma di tonalità che spazia dalla serenità del celeste alla profondità del blu notte, possiede un potere intrigante nell’influenzare le nostre emozioni e il nostro stato d’animo. Spesso associato a sensazioni di tranquillità, calma e riflessione, il blu si manifesta come una scelta comune per ambienti che cercano di creare un’atmosfera di pace interiore, come camere da letto e sale relax.

La sua connessione con la riflessione profonda e la stabilità emerge nei toni più scuri come il blu notte o il navy, che evocano una sensazione di serietà e fiducia. Questi toni sono spesso impiegati in contesti formali per trasmettere un senso di profondità e stabilità, contribuendo a una percezione di sicurezza e solidità.

Tuttavia, nonostante le sue connotazioni positive, il blu può assumere sfumature più oscure. Espressioni linguistiche comuni come “sentirsi blu” collegano il colore alla tristezza e alla malinconia. La teoria del Blue Monday, anche se contestata scientificamente, ha contribuito a consolidare l’associazione tra il blu e uno stato d’animo negativo, amplificando la percezione di un particolare giorno dell’anno come il più “triste”.

È cruciale riconoscere, però, che la percezione dei colori è altamente soggettiva e influenzata da fattori culturali. Molti individui trovano nel blu una risorsa consolatoria e una fonte di serenità per affrontare la tristezza. In definitiva, la comprensione del potere del blu nella psicologia dei colori implica una consapevolezza della sua dualità emotiva e delle sue molteplici interpretazioni, permettendo alle persone di sfruttare in modo consapevole l’effetto del colore nel plasmare il proprio benessere emotivo.

Approccio psicoterapeutico

Gli psicoterapeuti adottano un approccio integrato per affrontare l’umore basso che molte persone sperimentano all’inizio dell’anno. Questo periodo, caratterizzato dal ritorno alla routine quotidiana, dalle sfide finanziarie e dalle condizioni meteorologiche invernali, può portare a una serie di emozioni negative. Un approccio psicoterapeutico combinato con consigli pratici può essere un’efficace strategia per gestire questo stato d’animo.

  • Riflessione e accettazione: in terapia, si incoraggia una riflessione profonda sulle aspettative personali e l’accettazione delle fluttuazioni emotive tipiche di questa fase di transizione. Contestualmente, praticare la consapevolezza e l’accettazione nella vita di tutti i giorni può favorire una prospettiva più equilibrata e realistica.
  • Pianificazione positiva: collaborando alla creazione di obiettivi realistici e motivanti per il nuovo anno, si cerca di trasformare la pressione degli obiettivi in un processo gradito. Nella vita quotidiana, scegliere obiettivi specifici e raggiungibili, suddividendoli in passi più piccoli, rende il percorso verso il successo più gestibile e gratificante.
  • Autocura: la promozione di attività che migliorano il benessere emotivo, come l’esercizio fisico e la meditazione, è un aspetto chiave della terapia. Parallelamente, integrare nella routine quotidiana pratiche di autocura, dedicando tempo a attività che portano gioia e relax, può contribuire a contrastare lo stress.
  • Supporto psicologico: l’offerta di un ambiente sicuro per esplorare le fonti di stress e sviluppare strategie di coping personalizzate è uno degli obiettivi della terapia. Contestualmente, raggiungere amici, familiari per condividere pensieri ed emozioni può alleviare il peso emotivo.
  • Affrontare le pressioni sociali: esplorare e affrontare le aspettative sociali e le pressioni legate al nuovo anno è parte integrante della terapia. Contestualmente, riconoscere che gli obiettivi personali non devono rispecchiare le aspettative esterne è un consiglio pratico che può ridurre il senso di inadeguatezza.
  • Ricerca di significato: aiutare a trovare significato e scopo in attività quotidiane e obiettivi di vita è un obiettivo della terapia. Nella vita di tutti i giorni, riflettere sulla propria esistenza e identificare ciò che porta gioia e soddisfazione può contribuire a un aumento del benessere emotivo.

L’integrazione di un approccio psicoterapeutico con consigli pratici forma un potente strumento per affrontare il malumore stagionale e gestire l’umore basso all’inizio dell’anno. Questa combinazione promuove una transizione più fluida verso il nuovo anno, sostenendo la salute mentale e il benessere complessivo.

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Affrontare gli attacchi di panico: una prospettiva psicologica e terapeutica

Gli attacchi di panico rappresentano esperienze viscerali, impetuose, in grado di lasciare un’impronta duratura sulla vita di chi ne è affetto. Questi episodi, caratterizzati da un’ondata improvvisa di ansia intensa, manifestano sintomi fisici come palpitazioni, sudorazione e sensazioni di smarrimento. Tali manifestazioni possono condurre a evitamenti comportamentali e, in alcuni casi, all’insorgenza di agorafobia connessa agli attacchi di panico. Nell’ambito della psicoterapia, si delinea un percorso di esplorazione del mondo interno, rivolgendo l’attenzione alle paure non sempre manifeste, per indagare il complesso intreccio tra insicurezza, desiderio di controllo e paura. L’approccio terapeutico si articola su due fronti complementari: da un lato, si interviene direttamente sul sintomo, riducendone l’intensità e fornendo strumenti pratici per la gestione della paura; dall’altro, si approfondisce la comprensione delle motivazioni profonde e delle insicurezze, favorendo la crescita di un senso interno di sicurezza.

Definizione

Gli attacchi di panico rappresentano episodi di ansia estrema, sorprendenti e debilitanti, caratterizzati da una crisi d’angoscia intensa. Durante un attacco di panico, si verificano sintomi fisici e psicologici che raggiungono il massimo dell’intensità, portando il soggetto a vivere una paura intensa e irrazionale. Questi sintomi spesso comprendono palpitazioni, dolore toracico, sensazione di soffocamento, vertigini, vampate di calore, brividi di freddo, tremori e sudorazione profusa. Inoltre, il paziente può sperimentare una profonda paura di morire, impazzire o perdere il controllo.

Gli attacchi di panico possono insorgere in qualsiasi momento, apparentemente senza una causa immediata o prevedibile. Sebbene le cause precise non siano ancora completamente comprese, sembra che vi sia un legame tra questi episodi e le fasi di transizione significative nella vita, che spesso portano ad aumentati livelli di stress e ansia. Tuttavia, gli attacchi di panico non si manifestano durante il periodo di maggiore stress, bensì dopo che la tensione emotiva si è attenuata.

La caratteristica distintiva degli attacchi di panico è la loro natura imprevedibile e intensamente sconvolgente. Gli episodi iniziali possono rimanere indelebili nella memoria della persona colpita, poiché rappresentano un’esperienza inaspettata e altamente sgradevole. Di conseguenza, è comune che il soggetto sviluppi un comportamento di evitamento, che porta a limitare sempre di più le attività e gli spostamenti. Si evitano situazioni e luoghi specifici che si associano alla comparsa degli attacchi, con la speranza di prevenirli.

Quando tale evitamento inizia a interferire significativamente con le attività quotidiane e le relazioni sociali, si può diagnosticare un disturbo d’ansia noto come “agorafobia associata ad attacchi di panico”. Questa condizione comporta la paura e l’evitamento di luoghi e situazioni da cui sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi, o in cui il soggetto teme di non poter ricevere assistenza sufficiente in caso di emergenza.

Sessualità e benessere psicologico

L’impatto della società sul mantenimento del segreto sulla sessualità va oltre le norme sociali ed è in grado di generare effetti notevoli sul benessere psicologico degli individui. La sessualità è, innegabilmente, una componente intrinseca della natura umana, e quando questa viene repressa o nascosta, possono emergere una serie di problemi psicologici che meritano attenzione e comprensione.

La mancanza di una discussione aperta è stata associata a una serie di problemi psicologici. La vergogna sessuale e l’incapacità di accettare sé stessi possono aumentare il rischio di depressione e ansia, causate anche dalla società che spinge spesso le persone a conformarsi a ideali irrealistici di bellezza e prestazioni sessuali, creando una pressione psicologica che può avere effetti devastanti sulla salute mentale.

Inoltre, la repressione della sessualità può portare a problemi sessuali, tra cui disfunzioni come l’eiaculazione precoce o l’anoressia sessuale. L’assenza di apertura nella discussione dei problemi sessuali può impedire alle persone di cercare l’aiuto di professionisti della salute mentale o di consulenti sessuali esperti.

Tuttavia, quando le persone riescono a superare questa limitazione e a abbracciare una comunicazione aperta sulla sessualità, possono emergere nuove opportunità per il benessere psicologico. La terapia sessuale, ad esempio, è un campo in crescita che mira a trattare i problemi sessuali attraverso la comunicazione e l’educazione (Brotto, 2019). L’accettazione di una sessualità sana è un passo fondamentale verso una migliore salute mentale e una maggiore consapevolezza di sé stessi.

Come affrontare gli attacchi di panico e il disagio psicologico derivante

Affrontare gli attacchi di panico e il disagio psicologico che ne deriva richiede un approccio multifattoriale che coinvolga sia il paziente che i professionisti della salute mentale. Ecco alcune strategie e considerazioni importanti per gestire efficacemente gli attacchi di panico:

  • Rivolgersi a uno specialista: il primo passo fondamentale è consultare uno psicoterapeuta o uno psichiatra specializzato in disturbi d’ansia. Questi professionisti possono condurre una valutazione accurata, diagnosticare il problema e sviluppare un piano di trattamento personalizzato.
  • Terapia cognitivo-comportamentale (TCC): la TCC è uno degli approcci terapeutici più efficaci per affrontare gli attacchi di panico. Questa terapia mira a identificare e modificare i pensieri catastrofici associati agli attacchi, insegnando al paziente a gestire l’ansia in modi più adattivi.
  • Terapia dell’esposizione: la terapia dell’esposizione è spesso integrata nella TCC. Coinvolge l’esposizione graduale alle situazioni o agli stimoli che scatenano gli attacchi di panico, aiutando il paziente a sviluppare una maggiore tolleranza all’ansia e a ridurre l’evitamento.
  • Farmaci: in alcuni casi, il medico può prescrivere farmaci ansiolitici o antidepressivi per aiutare a gestire gli attacchi di panico. Questi farmaci dovrebbero essere presi sotto la supervisione di un professionista della salute.
  • Apprendimento delle tecniche di gestione dello stress: imparare tecniche di rilassamento, come la mindfulness, la meditazione o la respirazione profonda, può essere utile per ridurre l’ansia e affrontare gli attacchi di panico.
  • Supporto sociale: parlarne con amici e familiari di fiducia può essere un valido sostegno emotivo. Inoltre, i gruppi di supporto possono offrire un ambiente in cui le persone possono condividere le proprie esperienze e strategie per affrontare gli attacchi di panico.
  • Monitoraggio dei progressi: tenere un diario per registrare gli attacchi di panico, i sintomi e le situazioni scatenanti può aiutare a individuare modelli e monitorare i progressi durante il trattamento.
  • Stile di vita salutare: adottare uno stile di vita sano, che includa una dieta equilibrata, esercizio fisico regolare e sonno sufficiente, può contribuire a ridurre l’ansia e migliorare il benessere psicologico.

Affrontare gli attacchi di panico può richiedere tempo e impegno, ma con il sostegno adeguato e la terapia appropriata, è possibile ottenere un notevole miglioramento nella qualità della vita. È importante ricordare che non c’è una soluzione unica per tutti, e ogni individuo potrebbe rispondere in modo diverso alle diverse forme di trattamento. La chiave è trovare l’approccio che funziona meglio per ciascuna persona e perseguirlo con determinazione.

Psicoterapia e nuove tecnologie

La Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC) si è dimostrata il trattamento più efficace per i disturbi d’ansia, tra cui il disturbo da attacchi di panico. Questa efficacia è confermata da alti tassi di risoluzione, che spesso superano quelli ottenuti con la farmacoterapia, e svolge un ruolo protettivo contro le ricadute a lungo termine.

Il modello cognitivo alla base della TCC sottolinea che non sono gli eventi o le situazioni esterne a spaventare le persone, ma piuttosto il modo in cui queste interpretano tali circostanze. In altre parole, non sono gli eventi stessi a scatenare l’ansia, ma le percezioni e i pensieri associati a essi. Questi pensieri influenzano costantemente le reazioni corporee, il che significa che il pensiero di poter avere un attacco di panico può innescare un aumento dell’ansia, causando ulteriori sintomi fisici. Questo ciclo vizioso contribuisce al manifestarsi degli attacchi.

La TCC considera il coinvolgimento attivo del paziente come un elemento cruciale nella genesi e nella persistenza degli attacchi di panico. La tendenza a utilizzare le emozioni come fonte di valutazione costituisce un meccanismo chiave nei disturbi d’ansia. Pertanto, l’aspetto critico è la percezione stessa dell’ansia.

Un aspetto cruciale del trattamento è la ristrutturazione cognitiva, che cerca di contrapporre prove contrarie alle interpretazioni catastrofiche errate e di fornire spiegazioni alternative alle sensazioni interne. Si aiuta il paziente a comprendere che le sensazioni fisiche sono spesso dovute a risposte fisiologiche normali, allo stress, all’attività fisica, alla fatica, agli effetti di sostanze come il caffè o l’alcool, all’attenzione selettiva verso le sensazioni corporee, alle forti emozioni o persino a processi biologici benigni interni.

Un elemento chiave del trattamento consiste nell’affrontare gradualmente le situazioni temute attraverso l’esposizione graduata. Questa tecnica aiuta il paziente a comprendere che può affrontare le situazioni ansiose senza subire conseguenze catastrofiche. Inoltre, l’esposizione enterocettiva, l’esposizione alle sensazioni fisiche, aiuta il paziente a familiarizzarsi con i sintomi fisici e ad accettarli come normali e non pericolosi.

Negli ultimi anni, le nuove tecnologie hanno introdotto innovazioni significative nel trattamento degli attacchi di panico in psicoterapia. L’uso di applicazioni per dispositivi mobili, piattaforme online e teleterapia ha aperto nuove opportunità nell’accesso ai servizi di salute mentale e nel miglioramento dell’efficacia dei trattamenti. Ad esempio, le applicazioni per la gestione dell’ansia offrono esercizi di respirazione guidata, tecniche di rilassamento e strumenti per monitorare gli attacchi di panico e i progressi nel tempo. Queste risorse consentono ai pazienti di avere a portata di mano strumenti utili per gestire l’ansia quotidianamente.

La teleterapia, ovvero la terapia condotta attraverso videochiamate, offre una modalità di consulenza conveniente e accessibile. Questa opzione è particolarmente utile per le persone che hanno difficoltà a raggiungere fisicamente uno psicoterapeuta o che preferiscono la comodità di una terapia da casa. La teleterapia ha dimostrato di essere altrettanto efficace della terapia in persona nel trattamento degli attacchi di panico.

Inoltre, le nuove tecnologie consentono una maggiore condivisione di risorse educative, supporto sociale e strumenti di monitoraggio tra i pazienti. I forum online e i gruppi di supporto virtuali forniscono una piattaforma per connettersi con altre persone che condividono esperienze simili e scambiare consigli utili. La possibilità di monitorare i sintomi e i progressi attraverso app o software specifici può anche aiutare il terapeuta a personalizzare ulteriormente il trattamento in base alle esigenze del paziente.

Conclusione

Mentre gli attacchi di panico possono essere spaventosi e debilitanti, con il giusto trattamento e il supporto adeguato, è possibile superarli. La speranza è che questo articolo abbia contribuito a fornire una comprensione più approfondita di questa condizione e delle opzioni di trattamento disponibili, incoraggiando chi ne soffre a cercare aiuto e a intraprendere un percorso verso una vita più serena e soddisfacente. La consapevolezza, la conoscenza e il sostegno sono le chiavi per superare gli attacchi di panico e tornare a vivere una vita appagante.

Bibliografia

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Il lato emotivo del dolore cronico: come la psicoterapia può aiutare

Il dolore cronico è una condizione debilitante che colpisce milioni di persone in tutto il mondo. Si tratta di un disagio fisico persistente che può durare per mesi o persino anni, influenzando significativamente la qualità della vita di chi ne è affetto.

Il dolore cronico è una realtà complessa che va oltre la mera dimensione fisica, coinvolgendo aspetti emotivi, sociali e psicologici. Contrariamente a un’errata interpretazione, la terapia psicologica del dolore cronico non suggerisce che il dolore sia solamente una questione della mente o che sia “tutto nella testa”. Al contrario, riconosce che il dolore cronico è un’esperienza reale, spesso accompagnata da una componente psicologica intrinseca.

La prospettiva della terapia psicologica si basa sull’idea che il dolore cronico non possa essere adeguatamente affrontato limitandosi a trattamenti medici e farmacologici. Invece, cerca di comprendere la complessità di questa condizione integrando interventi psicologici per migliorare la gestione del dolore e la qualità della vita complessiva.

In questo contesto, la psicoterapia del dolore cronico non cerca di negare la natura reale e fisica del dolore, ma piuttosto riconosce che il dolore è un’esperienza multidimensionale. Esplorare la dimensione psicologica del dolore cronico non significa minimizzare la sua gravità, bensì riconoscere che il contesto emotivo può influenzare notevolmente come una persona percepisce e gestisce il dolore.

Comprendere il dolore cronico

Il dolore cronico è una complessa sfida medica e psicologica che richiede una comprensione approfondita per essere adeguatamente trattata. Innanzitutto, è importante notare che il dolore cronico può avere origini molto diverse, che vanno dalle malattie croniche, come l’artrite o il diabete, alle lesioni fisiche, alle condizioni muscolo-scheletriche come la fibromialgia. La sua persistenza, spesso protratta per mesi o anni, può essere debilitante non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico.

Per comprendere appieno il dolore cronico, è essenziale considerare la sua complessità multidimensionale. Questo tipo di dolore non è semplicemente una sensazione fisica spiacevole, ma può comportare una serie di elementi interconnessi.

  1. Componente fisica

Il dolore cronico è innanzitutto una manifestazione fisica che può variare notevolmente nella sua intensità e localizzazione. Può essere costante o intermittente e può influenzare le attività quotidiane, dal lavoro alle relazioni personali.

  • Componente emotiva

A differenza del dolore acuto, è una condizione che persiste nel tempo, portando con sé una serie di impatti emotivi significativi. Chiunque abbia sperimentato il dolore cronico sa che non si tratta semplicemente di una sensazione fisica fastidiosa, ma di un peso emotivo che può diventare travolgente. Una delle emozioni più comuni associate al dolore cronico è la frustrazione. Il costante disagio fisico, spesso associato a una mancanza di soluzioni immediate, può generare una crescente frustrazione. Quando i trattamenti medici non forniscono il sollievo desiderato, questa frustrazione può aumentare, creando un senso di impotenza. La rabbia è un’altra emozione che spesso accompagna il dolore cronico. La rabbia può essere diretta verso sé stessi per non essere in grado di gestire il dolore o verso il mondo esterno per non comprendere veramente la propria condizione. Questa rabbia può diventare un ulteriore carico emotivo da sopportare. L’ansia è un’altra componente importante dell’esperienza emotiva del dolore cronico. Le persone con dolore cronico spesso vivono nell’ansia di un potenziale aumento del dolore o si preoccupano costantemente del futuro. Questa ansia cronica può influenzare la qualità del sonno, rendendo la situazione ancora più difficile. La depressione è un disturbo mentale che può svilupparsi a causa del dolore cronico. La sensazione di essere intrappolati in un ciclo di dolore e la perdita di interesse per le attività che una volta erano piacevoli possono portare a sintomi depressivi. La depressione, a sua volta, può influire negativamente sulla percezione stessa del dolore, amplificando il senso di disperazione. Infine, il dolore cronico può influenzare profondamente la percezione di sé e del mondo. Le persone con questa condizione possono iniziare a vedere sé stesse come individui limitati e incapaci, mentre il mondo circostante può sembrare ostile e privo di compassione.

  • Componente sociale 

Il dolore cronico, oltre a influenzare l’aspetto emotivo, ha un profondo impatto sulla vita sociale e relazionale delle persone che ne soffrono. Il disagio costante e la gestione del dolore possono portare a un’ampia gamma di sfide sociali e comportamentali.Un aspetto significativo è l’isolamento sociale. A causa del dolore persistente e delle difficoltà a partecipare alle attività quotidiane, le persone con dolore cronico possono ritrovarsi gradualmente o repentinamente ritirate dalla loro vita sociale. L’isolamento sociale può derivare dalla paura di essere giudicati, dalla difficoltà nel comunicare il proprio stato di salute agli altri o dalla semplice incapacità fisica di partecipare alle attività sociali.L’isolamento sociale può a sua volta portare a sentimenti di solitudine, che possono accentuare ulteriormente la percezione negativa del dolore cronico. Le relazioni personali e sociali possono subire uno stress significativo quando uno o più membri della famiglia o del circolo sociale sono colpiti dal dolore cronico. La comunicazione può diventare difficile, e la persona affetta da dolore cronico può sentirsi in colpa o un peso per gli altri.La partecipazione a eventi sociali e attività può essere limitata a causa del dolore cronico, causando una disabilità sociale. Le persone potrebbero dover rinunciare a hobby, a eventi familiari o sociali o al lavoro. Questo può portare a un senso di perdita di identità e una diminuzione dell’autostima.La sensazione di estraneità rispetto agli altri è un altro aspetto importante. Le persone con dolore cronico possono sentirsi fuori posto in situazioni sociali o possono avere difficoltà a identificarsi con gli altri che non condividono la loro esperienza. Questa sensazione di estraneità può aumentare il senso di isolamento e la percezione di separazione dalla comunità

  • Componente temporale

La natura cronica del dolore, con la sua persistenza e durata prolungata, introduce una dimensione temporale unica nella vita delle persone affette da questa condizione. Questo aspetto temporale può avere un impatto profondo sulla loro percezione del futuro e sulla capacità di pianificare e perseguire obiettivi a lungo termine. Il dolore cronico può generare un senso di perdita di speranza per il futuro. Poiché le persone si sforzano costantemente di gestire il dolore e di trovare sollievo, possono sentirsi intrappolate in un ciclo di sofferenza senza fine. Questo senso di disperazione può influire negativamente sulla qualità della vita e sulla salute mentale. Il dilemma di come pianificare e perseguire obiettivi a lungo termine rappresenta una sfida significativa per chi vive con il dolore cronico. Mentre cercano di conciliare il bisogno di prendersi cura di sé stessi e gestire il dolore con l’aspirazione a una vita significativa e soddisfacente, possono sorgere conflitti interni. La paura di non essere in grado di raggiungere i propri obiettivi a causa del dolore può portare a sentimenti di impotenza e frustrazione. La gestione del tempo diventa una competenza essenziale per le persone con dolore cronico. Devono bilanciare le esigenze di cura personale, comprese le terapie mediche e le attività di gestione del dolore, con gli obiettivi personali, professionali e sociali. Questa gestione richiede pianificazione, flessibilità e l’abilità di stabilire priorità in base alle necessità del momento. La psicoterapia può svolgere un ruolo importante nel supportare le persone con dolore cronico nella gestione di questa “componente temporale”. Gli psicoterapeuti possono aiutare i pazienti a sviluppare strategie di pianificazione a breve e lungo termine che tengano conto delle sfide del dolore cronico. Inoltre, possono lavorare con i pazienti per identificare obiettivi realistici e promuovere la resilienza nell’affrontare il futuro, incoraggiando la speranza e il senso di controllo sulla propria vita, nonostante il dolore costante.

L’approccio psicologico al dolore cronico

L’esperienza del dolore cronico è intrinsecamente legata all’approccio bio-psico-sociale, il quale riconosce che definire il dolore unicamente dal punto di vista medico e fisico sarebbe riduttivo e limitante. Questo approccio consente di valutare non solo le conseguenze a livello del corpo, ma anche il ruolo cruciale della dimensione psicologica e del contesto sociale nell’esperienza del dolore.

In termini di percezione del dolore, è fondamentale distinguere tra il “dolore pulito” e il “dolore sporco.” Il primo rappresenta la componente fisica del dolore, ovvero la sensazione fisica del disagio, come il mal di schiena o il mal di testa. Il secondo, invece, comprende le reazioni psicologiche ed emotive che una persona sperimenta a causa del dolore. Questo “dolore sporco” può includere la comunicazione del dolore, l’evitare attività che potrebbero causare o peggiorare il dolore, l’abbandonare obiettivi o attività a causa delle limitazioni imposte dalla sofferenza. È proprio il “dolore sporco” che può limitare la qualità della vita e impedire alle persone di perseguire i propri valori e obiettivi, sottolineando l’importanza della dimensione psicologica nel contesto del dolore cronico.

Variabili psicologiche che peggiorano il dolore

Le variabili psicologiche svolgono un ruolo significativo nell’esperienza del dolore cronico. Spesso, il dolore cronico rende la persona non solo fisicamente inabile, ma anche emotivamente vulnerabile, portando a un cambiamento nel comportamento, nella vita quotidiana e nelle abitudini. Quando il dolore persiste nel tempo, si può instaurare un circolo vizioso di depressione, ansia e altri disturbi emotivi che contribuiscono al malessere e possono intensificare il dolore stesso.

Ad esempio, l’evitare determinati movimenti o situazioni che possono aumentare il dolore può sembrare inizialmente un comportamento protettivo, ma a lungo termine può portare a una condizione di immobilità che peggiora la condizione fisica e rende più complessa e dolorosa la riabilitazione.

La tendenza a catastrofizzare, ossia considerare il proprio dolore come una minaccia insormontabile, difficile da gestire e al di fuori del proprio controllo, può intensificare l’esperienza dolorosa. Questa prospettiva negativa può contribuire a un aumento del disagio, dell’agitazione e della rassegnazione.

Tra i fattori psicologici che sono stati ampiamente studiati in letteratura per il loro contributo nell’intensificare il dolore cronico e nel mantenerlo nel tempo, spiccano la depressione, l’ansia, la rabbia e i disturbi del sonno. Questi fattori possono creare un circolo negativo che richiede un intervento psicologico mirato per affrontare sia la componente fisica che quella psicologica del dolore cronico.

Conclusione

La terapia psicologica offre un ambiente sicuro in cui le persone con dolore cronico possono esplorare e comprendere le complesse emozioni e i pensieri che il dolore cronico suscita. Attraverso la terapia, gli individui possono sviluppare strategie di coping efficaci per affrontare la frustrazione, la rabbia, l’ansia e la depressione legate al dolore cronico. Inoltre, la terapia psicologica può aiutare le persone a migliorare la loro percezione di sé e a rafforzare la propria identità, promuovendo la resilienza mentale.

La componente sociale del dolore cronico può essere affrontata attraverso la terapia psicologica, contribuendo a ridurre l’isolamento sociale, a migliorare le relazioni e a fornire supporto emotivo essenziale. La gestione del tempo e la pianificazione a lungo termine possono essere ottimizzate grazie all’aiuto della terapia, che aiuta le persone a bilanciare le esigenze di cura personale con gli obiettivi personali e sociali. La terapia psicologica rappresenta un passo significativo verso il recupero del benessere fisico ed emotivo, consentendo alle persone di vivere una vita soddisfacente, basata sui propri valori e obiettivi.

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La sessualità come tabù: l’influenza silenziosa su salute mentale e relazioni

Nella società odierna, la sfera della sessualità rappresenta una contraddizione affascinante: da un lato, viene spesso considerata un tabù, eppure, dall’altro, è un elemento che si espone apertamente davanti ai nostri occhi in molti aspetti della vita quotidiana. È straordinario notare come sia onnipresente nelle pubblicità, nell’abbigliamento, nella cultura popolare e in molte altre sfere, eppure, allo stesso tempo, sia circondata da segreti e imbarazzi.

Il tabù della sessualità

Originato da influenze religiose, morali e sociali, il tabù ha confinato la sessualità in una zona d’ombra, avvolta da segreti e vergogna. Questa restrizione ha un impatto profondo sulla psicologia individuale.

Nella società contemporanea, la sessualità spesso viene confusa con la sessualizzazione della corporeità, un fenomeno che si manifesta quotidianamente attraverso l’esposizione di immagini e motivi sessualizzati nei media e nella pubblicità. Tuttavia, è fondamentale fare distinzioni tra questi due aspetti, poiché rappresentano approcci diversi alla sfera sessuale e comportano implicazioni molto diverse per la salute sessuale e mentale.

La sessualizzazione della corporeità si traduce in un’iper-esposizione di immagini di corpi attraenti e scene di intimità sessuale nella cultura popolare. Questo fenomeno può influenzare la percezione del corpo, portando molte persone a sentirsi inadeguate rispetto agli ideali irrealistici di bellezza. Tuttavia, questa sessualizzazione spesso trascura la componente essenziale della sessualità consapevole.

La sessualità consapevole riguarda la comprensione e l’esplorazione della propria sessualità e anche della propria percezione corporea in modo consapevole e sano. Questo approccio implica la conoscenza dei propri desideri, bisogni e confini sessuali, nonché la capacità di comunicare apertamente e rispettosamente con il proprio partner. Contrariamente alla sessualizzazione della corporeità, la sessualità consapevole promuove una relazione positiva con la sessualità, basata sulla conoscenza di sé e sulla comunicazione aperta.

È importante riconoscere che la sessualità non dovrebbe essere ridotta alla sessualizzazione della corporeità o a pratiche sessualizzanti. La sessualità è una parte complessa e intrinseca della natura umana che coinvolge non solo il corpo, ma anche l’aspetto emotivo, psicologico e relazionale. Per una salute sessuale vera e propria, è fondamentale abbracciare la sessualità in modo consapevole, comprendendo e rispettando le proprie esigenze e quelle del proprio partner. Questo approccio contribuisce a relazioni più soddisfacenti e a una migliore salute mentale e sessuale nel lungo termine.

Sessualità e benessere psicologico

L’impatto della società sul mantenimento del segreto sulla sessualità va oltre le norme sociali ed è in grado di generare effetti notevoli sul benessere psicologico degli individui. La sessualità è, innegabilmente, una componente intrinseca della natura umana, e quando questa viene repressa o nascosta, possono emergere una serie di problemi psicologici che meritano attenzione e comprensione.

La mancanza di una discussione aperta è stata associata a una serie di problemi psicologici. La vergogna sessuale e l’incapacità di accettare sé stessi possono aumentare il rischio di depressione e ansia, causate anche dalla società che spinge spesso le persone a conformarsi a ideali irrealistici di bellezza e prestazioni sessuali, creando una pressione psicologica che può avere effetti devastanti sulla salute mentale.

Inoltre, la repressione della sessualità può portare a problemi sessuali, tra cui disfunzioni come l’eiaculazione precoce o l’anoressia sessuale. L’assenza di apertura nella discussione dei problemi sessuali può impedire alle persone di cercare l’aiuto di professionisti della salute mentale o di consulenti sessuali esperti.

Tuttavia, quando le persone riescono a superare questa limitazione e a abbracciare una comunicazione aperta sulla sessualità, possono emergere nuove opportunità per il benessere psicologico. La terapia sessuale, ad esempio, è un campo in crescita che mira a trattare i problemi sessuali attraverso la comunicazione e l’educazione (Brotto, 2019). L’accettazione di una sessualità sana è un passo fondamentale verso una migliore salute mentale e una maggiore consapevolezza di sé stessi.

Relazioni interpersonali

Il tabù che circonda la sessualità esercita un’influenza significativa nelle dinamiche delle relazioni interpersonali, specialmente all’interno delle coppie. La mancanza di apertura e comunicazione sulla sessualità può portare a incomprensioni, insoddisfazioni e conflitti che mettono a rischio la stabilità delle relazioni amorose.

Come afferma il dottor John Gottman, uno dei principali studiosi delle relazioni di coppia, “La comunicazione sessuale è un fondamento essenziale delle relazioni di successo. Quando i partner non riescono a condividere i propri desideri, bisogni e preoccupazioni sessuali, si assiste a un declino della connessione emotiva e fisica”. In altre parole, la mancanza di dialogo aperto sulla sessualità può erodere la base di intimità e comprensione reciproca su cui si basa una relazione sana.

Tuttavia, il dialogo aperto sulla sessualità non è limitato alle relazioni di coppia. È altrettanto importante all’interno delle famiglie. Parlare apertamente di sessualità con i figli è un passo fondamentale nell’educazione sessuale e nella creazione di un ambiente in cui i giovani possano sviluppare una comprensione sana della sessualità e delle relazioni. Questo dialogo in famiglia può contribuire a rompere il ciclo di segretezza e vergogna che spesso circonda la sessualità.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità sottolinea l’importanza di una comunicazione aperta in famiglia sulla sessualità, definendola un fattore chiave nella promozione di comportamenti sessuali responsabili e nella prevenzione di problemi legati alla sessualità (OMS, 2020). Creare uno spazio in cui i giovani possano porre domande, esprimere preoccupazioni e ricevere informazioni accurate può aiutare a costruire una base solida per le loro future relazioni e decisioni sessuali.

L’educazione sessuale

L’educazione sessuale svolge un ruolo fondamentale nella sfida contro il tabù che circonda la sessualità. È un pilastro essenziale nella promozione di una comprensione aperta e sana della sessualità in una società spesso segnata da pregiudizi e segretezza. Un approccio efficace deve essere basato su fatti scientifici e inclusivo; ciò significa fornire informazioni accurate e aggiornate sulla sessualità umana, evitando il perpetuare di miti e stereotipi che spesso contribuiscono al tabù.

Un modello di educazione sessuale inclusiva promuove la comprensione e il rispetto delle scelte sessuali individuali, comprese le diverse orientazioni sessuali e identità di genere. Inoltre, l’educazione sessuale ha il potenziale per contribuire in modo significativo alla riduzione dei rischi legati alla sessualità e alla promozione di scelte responsabili. Fornendo informazioni sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, sull’uso dei contraccettivi e sulla consapevolezza delle questioni legate al consenso, l’educazione sessuale può aiutare le persone a prendere decisioni informate e a proteggere la propria salute sessuale.

Uno studio condotto dal Guttmacher Institute ha dimostrato che una corretta educazione sessuale è associata a una maggiore probabilità di utilizzare metodi contraccettivi e di adottare comportamenti sessuali responsabili tra gli adolescenti (Guttmacher Institute, 2020). Questi risultati sottolineano l’importanza dell’educazione sessuale come strumento efficace per ridurre i rischi legati alla sessualità e promuovere scelte consapevoli.

Un altro studio condotto dalla Journal of Sex Research suggerisce che un’educazione sessuale che promuove la consapevolezza emotiva e relazionale può contribuire a ridurre il ricorso a comportamenti sessuali impulsivi (Mark et al., 2018). In altre parole, l’educazione sessuale può aiutare a cambiare il paradigma della sessualità da uno basato sulla ricerca del piacere immediato a uno che enfatizza il significato e la connessione nelle relazioni sessuali.

Strategie per rompere il tabù

Il processo di rompere il tabù che circonda la sessualità nella società richiede sforzi congiunti e una serie di strategie mirate. È un cambiamento culturale che può contribuire in modo significativo a migliorare la salute psicologica delle persone e promuovere una discussione aperta e inclusiva sulla sessualità.

  • Educazione sessuale globale: implementare programmi di educazione sessuale nelle scuole e nelle comunità che siano inclusivi, basati su fatti scientifici e sensibili alle diverse identità sessuali e di genere. Questi programmi dovrebbero affrontare temi come il consenso, la prevenzione degli abusi sessuali e la consapevolezza sessuale.
  • Media, arte e cultura Popolare: i media, l’arte e la cultura popolare hanno un ruolo fondamentale nella normalizzazione della discussione sulla sessualità. Creare rappresentazioni accurate e non stereotipate della sessualità in film, televisione, letteratura e arte può contribuire a sfidare i pregiudizi e a promuovere una comprensione più aperta.
  • Supporto psicologico e interventi terapeutici: promuovere l’accesso a servizi di supporto psicologico per coloro che lottano con problemi legati alla sessualità, tra cui la vergogna sessuale, la disfunzione sessuale o gli effetti di abusi sessuali. L’intervento terapeutico può aiutare le persone a superare queste sfide, a sviluppare una sessualità sana e a migliorare il loro benessere psicologico.

L’approccio psicologico nella gestione dei problemi legati alla sessualità può essere particolarmente efficace. La terapia sessuale, ad esempio, è un campo specializzato che si concentra sulla risoluzione dei problemi sessuali e sulla promozione di una sessualità sana. I terapisti sessuali esperti possono lavorare con gli individui e le coppie per esplorare le cause dei loro problemi sessuali, affrontare le barriere psicologiche e sviluppare strategie per migliorare la vita sessuale. Questi interventi psicologici mirano a creare uno spazio sicuro in cui i pazienti possono esplorare i loro sentimenti e le loro preoccupazioni sulla sessualità e sviluppare una comprensione più profonda di sé stessi.

Conclusione

In conclusione, superare il tabù della sessualità è essenziale per promuovere una società più sana e consapevole. La sessualità è una parte fondamentale della nostra vita e della nostra identità, e non dovrebbe essere relegata all’ombra della vergogna e della paura. Promuovere il dialogo aperto sulla sessualità non solo migliora il benessere psicologico individuale, ma contribuisce anche a creare relazioni più forti e una società più inclusiva. Sfide come l’educazione sessuale accurata e l’uso responsabile dei media possono aiutare a sradicare il tabù, consentendo a ognuno di noi di vivere una sessualità sana e appagante.

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La dieta post-vacanza: perché non è una buona idea?

Le vacanze sono ormai finite ed è arrivato il momento in cui ci ritroviamo a riflettere sulle nostre scelte alimentari durante quel periodo di relax e divertimento.

In questo periodo, non è raro ricevere messaggi sul nostro telefono o nella nostra casella di posta elettronica che promuovono diete miracolose o prodotti che promettono di far tornare in forma il nostro corpo in un battito di ciglia. Tuttavia, questi messaggi possono essere piuttosto persuasivi e spesso ci pongono di fronte a un dilemma: il desiderio di “rimetterci in carreggiata” e ritornare alla normalità con una dieta restrittiva. Questi messaggi possono essere ingannevoli, quasi ricattatori, spingendoci a credere che una dieta rigorosa sia l’unica via percorribile per affrontare la situazione.

In realtà, la nostra parte razionale sa che seguire un “piano definitivo” per perdere rapidamente quei chili in eccesso non è una scelta saggia, e che le diete miracolose non esistono. Ma, nonostante questa consapevolezza, spesso cerchiamo ancora di ridurre il disagio che proviamo nei confronti del nostro aspetto il prima possibile. La vera domanda che dovremmo porci è se una dieta estrema è davvero la soluzione migliore per noi.

Il ciclo delle diete yo-yo

Le diete spesso innescano un percorso psicologico complesso, caratterizzato da una serie di stati emotivi in evoluzione. Inizialmente, quando ci impegniamo in una dieta, siamo pervasi da un entusiasmo travolgente. Spesso ci diamo obiettivi di perdita di peso irrealistici, sognando di raggiungere un certo peso entro un tempo prestabilito. Questo entusiasmo ci fa credere che siamo in grado di seguire una dieta rigida e schematica senza alcun margine di errore. Pesiamo ogni grammo di cibo per evitare errori e ci impegniamo in attività fisiche strenue, cercando di sudare copiosamente.

Tuttavia, quando l’obiettivo fissato è irrealistico, è facile incorrere in errori e fallimenti. Questo è il punto di svolta in cui si passa da una fase di entusiasmo a una sensazione di castrazione. La dieta sembra soffocante, affaticante e restrittiva. Iniziamo a nutrire sentimenti di delusione, sconfitta e frustrazione. Spesso ci sentiamo come se non fossimo stati in grado di rispettare il piano alimentare, il che può minare la nostra autostima.

Questi sentimenti negativi spesso portano a un ciclo vizioso. Lo “sgarro” diventa una scusa per abbandonare completamente la dieta. Ci convinciamo che “questa volta non cambierà nulla” e abbandoniamo gradualmente tutte le restrizioni. Tuttavia, se ripetiamo spesso questo schema, ritorniamo ai vecchi schemi alimentari insalubri.

L’illusione di libertà che sperimentiamo quando abbandoniamo la dieta è fugace. Alla fine, ci rendiamo conto che il nostro stile alimentare sregolato, non guidato da una consapevolezza nutrizionale, porta inevitabilmente al recupero dei chili persi e all’aumento del rischio di malattie legate all’obesità.

La nostra percezione delle diete dimagranti è spesso influenzata da retaggi culturali profondamente radicati. Nel corso degli anni, ci è stato insegnato che seguire una dieta significa fare delle rinunce e subire restrizioni alimentari severe. Questa mentalità può trasmettere l’idea che una dieta sia intrinsecamente associata alla sofferenza, alla rinuncia e al sacrificio. Il problema principale è che quando cediamo a una tentazione o quando molliamo, la nostra memoria è ancora impregnata del ricordo di quella sofferenza o del senso di fallimento legato a quelle restrizioni. Questi retaggi culturali ci spingono a considerare il cedimento come un trionfo momentaneo su una dieta che ci ha fatto soffrire a lungo.

Quando si verifica un crollo, spesso ci sentiamo in colpa e intrappolati in un ciclo di autocritica, auto-flagellazione e rabbia verso noi stessi. Questo ciclo può rendere difficile il ritorno a un approccio più equilibrato alla dieta e al benessere, perché siamo stati condizionati a vedere la dieta come un’esperienza dolorosa e fallimentare.

L’effetto della privazione e i suoi effetti psicologici

L’effetto della privazione è un aspetto fondamentale da considerare quando si tratta delle diete post vacanza. Dopo un periodo di vacanza in cui ci si è concessi cibi deliziosi in abbondanza, il ritorno a un’alimentazione restrittiva può portare a una sensazione di privazione. Questa sensazione può avere un impatto significativo sulla nostra psicologia e sul nostro benessere emotivo.

Uno studio condotto da Herman e Polivy nel 2008, noto come il “modello della restrizione cognitiva”, suggerisce che la privazione può portare a una maggiore attenzione e desiderio per il cibo proibito. In altre parole, quanto più ci diciamo di non mangiare qualcosa, tanto più diventa allettante. Questo fenomeno può sfociare in un comportamento alimentare compensatorio, in cui ci concediamo strappi alla regola eccessivi per cercare di soddisfare il desiderio di ciò che ci siamo negati.

Inoltre, la privazione può avere un impatto sulla nostra salute mentale. La sensazione di negazione costante può portare a sentimenti di frustrazione, tristezza e irritabilità. Questi stati emotivi possono spesso scatenare episodi di alimentazione emotiva, in cui cerchiamo comfort e gratificazione attraverso il cibo.

Per affrontare l’effetto della privazione in modo sano ed equilibrato, è importante adottare un approccio più flessibile alla dieta post vacanza. Piuttosto che vedere il cibo come una minaccia da cui dobbiamo difenderci, possiamo imparare a vedere il cibo come una fonte di piacere e nutrimento. Questo può includere il permesso di indulgere in occasioni speciali e di godersi i pasti in compagnia, senza sentirsi in colpa. La chiave è trovare un equilibrio che favorisca il benessere sia fisico che mentale, anziché cadere nella trappola della privazione e del desiderio incontrollato.

Il vero significato di dieta e l’importanza dei professionisti

Il termine “dieta” spesso viene associato a restrizioni alimentari severe o a piani alimentari drastici per perdere peso rapidamente. Tuttavia, il vero significato di “dieta” è molto più ampio e sottolinea il concetto di nutrire il corpo in modo sano ed equilibrato. Una dieta dovrebbe essere considerata uno stile di vita sostenibile, basato su scelte alimentari che promuovano la salute a lungo termine, anziché una serie di regole temporanee da seguire solo per un breve periodo.

Affidarsi a professionisti della nutrizione, come dietologi o nutrizionisti, è un passo fondamentale per costruire un percorso alimentare adeguato alle proprie esigenze. Questi esperti hanno conoscenze approfondite sulla scienza dell’alimentazione e possono aiutare a creare un piano alimentare personalizzato, tenendo conto di fattori individuali come il metabolismo, le preferenze alimentari, le condizioni di salute e gli obiettivi specifici. Collaborando con un professionista, è possibile stabilire obiettivi realistici e sostenibili, evitando così le diete estreme che spesso portano a risultati temporanei e insoddisfacenti.

Inoltre, gli psicoterapeuti possono fornire supporto psicologico per affrontare le sfide legate all’alimentazione e all’autostima. Imparare a comprendere il proprio rapporto con il cibo e a gestire le emozioni legate all’alimentazione è essenziale per mantenere un approccio equilibrato alla dieta. Lavorando con le persone per stabilire obiettivi realistici e sostenibili, gli psicologi contribuiscono a promuovere la salute e il benessere a lungo termine, evitando i cicli di diete estreme.

Infine: concediti un margine

Una forma di ribellione positiva può essere quella di evitare le diete restrittive e concentrarsi invece su una visione più equilibrata del benessere. Lasciate da parte la bilancia e rinunciate alla voce critica che vi rimprovera. Concedetevi il lusso di un margine di tolleranza e godetevi la vita in modo più sereno. Il rientro al lavoro dopo le vacanze può essere difficile, ma prendersi il tempo per apprezzare la vita e il cibo senza sensi di colpa può fare la differenza.

Nel percorso delle diete e del benessere, è fondamentale coltivare un contatto più profondo con i nostri stati d’animo. Quando ci sentiamo impreparati, quando le nostre emozioni sono altrove, quando il dolore e la frustrazione si fanno sentire, dobbiamo imparare ad essere gentili con noi stessi. Dobbiamo concederci il lusso di coccolarci, anche attraverso il cibo, senza cadere nell’eccesso o nella privazione.

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Autostima e percezione sociale: come la fiducia in sé influenza il giudizio altrui

Nel contesto dell’approccio psicoterapeutico, l’autostima emerge come un elemento centrale nell’analisi dell’individuo e delle sue dinamiche interne. Questo concetto, definito come l’insieme dei giudizi valutativi che l’individuo formula su sé stesso, costituisce il fondamento su cui si costruisce l’identità e la percezione di sé (Battistelli, 1994).

Fin dai primi passi della nostra esistenza, sviluppiamo una percezione di noi stessi attraverso le interazioni con il mondo esterno. Questo processo di rispecchiamento sociale, secondo cui l’altro diviene uno specchio attraverso il quale definiamo noi stessi, modella il nostro concetto di sé. In questo modo, la nostra autopercezione si configura come un mosaico di influenze esterne che plasmano l’immagine che abbiamo di noi stessi.

Autostima e autoefficacia

La struttura del concetto di sé influisce direttamente sul nostro modo di affrontare e interpretare la realtà circostante. Le decisioni che prendiamo e le azioni che intraprendiamo sono guidate dalla nostra autostima, che agisce come filtro tra il nostro mondo interiore e il mondo esterno. Di conseguenza, l’autostima si trasforma in un processo in evoluzione continua, in cui le interazioni con l’ambiente esterno contribuiscono a rafforzare o mettere in discussione la nostra valutazione di sé.

Tuttavia, il processo di sviluppo dell’autostima non è statico. Attraverso un impegno costante nell’esplorazione di sé stessi e nell’adattamento ai cambiamenti, è possibile migliorare e perfezionare la percezione che abbiamo di noi stessi. Il lavoro su sé stessi implica liberarsi dai condizionamenti negativi accumulati nel corso del tempo e ristrutturare il dialogo interiore, aprendo la strada a un’autostima più salda e consapevole.

In questo contesto, la fiducia in sé stessi emerge come un pilastro cruciale. La fiducia, in questo caso, rappresenta la convinzione profonda che siamo in grado di affrontare le sfide e le prove che la vita ci presenta. È un’aspirazione interiore di sicurezza e certezza nelle proprie capacità. È interessante notare che l’autostima e la fiducia in sé stessi si alimentano reciprocamente. Mentre la fiducia in sé stessi può aumentare l’autostima, una buona autostima può favorire una maggiore fiducia nelle proprie abilità. Questo concetto è parallelo a quello di “percezione d’autoefficacia personale”, enfatizzato da alcuni autori, come Albert Bandura.

Nell’ambito psicoterapeutico, l’analisi dell’autostima e della fiducia in sé stessi rivela un intricato legame tra la percezione interna e il modo in cui l’individuo si relaziona con il mondo esterno. L’autostima infatti, oltre ad avere un impatto diretto sul nostro modo di interpretare la realtà, ha anche un’influenza significativa sull’immagine che proiettiamo agli altri. Il modo in cui ci percepiamo internamente si riflette inevitabilmente nei nostri comportamenti, espressioni e atteggiamenti verso gli altri.

Questo legame tra autostima e percezione altrui crea un ciclo interattivo: la nostra autostima influenza il nostro comportamento sociale, che a sua volta determina le reazioni e i feedback che riceviamo dagli altri. Questo circolo vizioso può essere interrotto attraverso l’autoconsapevolezza e il lavoro su sé stessi. L’autoanalisi delle proprie convinzioni limitanti e la pratica di nuovi modelli di comportamento possono contribuire a cambiare il modo in cui ci percepiamo e veniamo percepiti dagli altri. Attraverso l’adattamento e la crescita personale, è possibile trasformare un circolo vizioso in un circolo virtuoso, in cui la fiducia in sé stessi si traduce in interazioni più positive e in una maggiore autostima, alimentandosi reciprocamente per un benessere psicologico duraturo.

Bassa autostima, origini

Le radici della bassa autostima spesso si intrecciano con le esperienze dell’infanzia, creando un impatto duraturo sulla percezione di sé nell’età adulta. L’infanzia, in particolare, svolge un ruolo cruciale nella formazione dell’autostima. Le interazioni con genitori, caregiver e coetanei possono lasciare un’impronta profonda nella psiche dell’individuo. Ad esempio, un ambiente familiare in cui prevale la critica e l’insicurezza può generare un’autostima fragile e negativa. Similmente, il bullismo o l’abuso subito durante l’infanzia possono influenzare la percezione di sé, erodendo la fiducia e promuovendo pensieri negativi.

L’elaborazione di queste esperienze attraverso la terapia può essere un passo cruciale verso la guarigione e il rafforzamento dell’autostima. Con il sostegno di un terapeuta competente, gli individui possono apprendere nuovi modi di affrontare il passato, riscoprire la propria forza interiore e sviluppare una visione più equilibrata e positiva di sé stessi.

Autostima e salute mentale

Una bassa autostima può generare un complesso spettro di implicazioni negative per la salute mentale. Queste implicazioni si riflettono in una serie di sintomi e sfide che possono erodere il benessere psicologico e ostacolare il funzionamento globale dell’individuo.

È infatti spesso associata a sintomi depressivi, caratterizzati da umore depresso persistente, perdita di interesse per le attività, fatica e sentimenti di inutilità. Questa relazione è radicata nell’autovalutazione negativa che spesso accompagna la bassa autostima, contribuendo all’insorgenza di emozioni depressive. Inoltre può innescare manifestazioni ansiose, evidenziando un senso di inadeguatezza e una paura costante di essere giudicati negativamente dagli altri. Questa ansia sociale può limitare le interazioni sociali e generare sentimenti di isolamento, alimentando ulteriormente il ciclo negativo.

Le persone con bassa autostima possono anche manifestare distorsioni cognitive, ossia percezioni distorte della realtà. Questi schemi di pensiero possono amplificare la negatività interna, alimentando la critica e l’autosvalutazione. La continua autocritica può sfociare in un atteggiamento di autosabotaggio, con l’evitamento delle opportunità di crescita personale e professionale. I disturbi alimentari e l’abuso di sostanze possono anche derivare da una bassa autostima, poiché l’individuo cerca di far fronte ai sentimenti di vuoto e insoddisfazione attraverso comportamenti distruttivi. Questi comportamenti possono portare a un circolo vizioso in cui la bassa autostima alimenta i sintomi e viceversa.

È importante sottolineare che queste conseguenze mentali negative possono interagire e amplificarsi reciprocamente, creando un quadro complesso di difficoltà psicologiche. La terapia psicologica svolge un ruolo cruciale nell’affrontare queste implicazioni, lavorando per ristrutturare le credenze limitanti, sviluppare strategie di coping più sane e promuovere la costruzione di un’autostima più resiliente e adattativa.

Costruire la fiducia in sé stessi

La costruzione della fiducia in sé stessi è un processo fondamentale all’interno dell’ambito psicoterapeutico, rivestendo un ruolo cruciale nell’evoluzione individuale e nel miglioramento del benessere psicologico. Questo processo richiede un impegno consapevole, pazienza e una profonda auto-riflessione, focalizzandosi sulla sfida e il superamento delle convinzioni limitanti che possono erodere l’autostima.

Un primo passo nella costruzione della fiducia in sé stessi consiste nell’analisi critica delle credenze negative che si radicano nel subconscio. La psicoterapia offre uno spazio sicuro per esplorare e mettere in discussione queste convinzioni autodistruttive, permettendo all’individuo di sostituirle con pensieri più realistici e positivi. Questa ristrutturazione cognitiva aiuta a liberarsi da schemi mentali auto-sabotanti, aprendo la strada a un’autostima più solida.

Inoltre, attraverso il lavoro terapeutico, gli individui possono esplorare le proprie origini, esperienze passate e influenze sociali che hanno contribuito a modellare la loro percezione di sé. Questa consapevolezza permette di affrontare i fattori che potrebbero aver contribuito alla mancanza di fiducia, favorendo un processo di accettazione e di rielaborazione del proprio sé.

Inoltre, è possibile adottare una serie di strategie mirate:

  • Pratica dell’autocompassione: Trattare sé stessi con gentilezza e tolleranza, accettando le imperfezioni senza giudizio critico. La terapia può aiutare a riconoscere e modificare i modelli di pensiero autodistruttivi.
  • Focalizzazione sulle proprie forze: Identificare e celebrare i successi personali, grandi o piccoli, per costruire una solida base di fiducia in sé stessi.
  • Pratica della mindfulness: Coltivare l’attenzione consapevole al momento presente, smorzando il dialogo interno critico.
  • Coltivare relazioni positive: Costruire legami interpersonali solidali e positivi può contribuire a una percezione più positiva di sé. La terapia di gruppo offre un contesto per condividere esperienze ed ottenere feedback costruttivo.
  • Esplorazione dell’autenticità: Accettare e abbracciare la propria autenticità, riconoscendo che la perfezione non è l’obiettivo.
  • Sfida delle convinzioni limitanti: Indagare e ristrutturare le convinzioni negative che minano l’autostima. La terapia può essere utile nell’affrontare queste convinzioni dannose.
  • Crescita personale continua: Considerare l’autostima come un percorso in evoluzione, impegnandosi costantemente nel miglioramento personale.

Conclusione

In definitiva, l’aumento dell’autostima richiede l’adozione di un approccio multidimensionale che coinvolga il lavoro su pensieri, emozioni e relazioni interpersonali. La crescita personale, nel contesto della psicoterapia, è fortemente legata alla teoria dell’autorealizzazione proposta da Maslow. L’autorealizzazione, il vertice della piramide dei bisogni di Maslow, si riferisce al processo di diventare la versione più autentica di sé stessi e di sviluppare appieno le proprie potenzialità. Attraverso la terapia, gli individui possono intraprendere questo percorso, liberandosi da vincoli emotivi, connettendosi con il loro nucleo interiore e creando una vita più significativa e soddisfacente.

“L’autostima non è narcisismo; è un prerequisito per l’amore sano e l’empatia verso gli altri.”

– Nathaniel Branden

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Un approccio immersivo per la gestione di ansia e stress: RV e RA come strumenti di trattamento

I disturbi d’ansia sono tra i disturbi psichiatrici più comuni con un’attuale prevalenza globale del 7,3%, che va dal 5,3% nei paesi africani al 10,4% nei paesi europei/anglosassoni. Lo sviluppo dei disturbi d’ansia è multifattoriale. Uno dei fattori predisponenti è una maggiore suscettibilità alla paura, che può essere causata da fattori biologici oltre che psicosociali. Eventi o condizioni della vita corrispondenti possono innescare una reazione di paura esagerata basata su questa disposizione. Strategie di coping sfavorevoli o reazioni dell’ambiente spesso portano all’escalation o alla perpetuazione dei sintomi.

Negli ultimi anni, la tecnologia ha aperto nuove possibilità per il trattamento dell’ansia, e la realtà aumentata e la realtà virtuale si sono rivelate strumenti promettenti nell’ambito della psicoterapia.

“La realtà virtuale offre un ambiente controllato e sicuro dove i pazienti possono affrontare gradualmente le situazioni ansiose, apprendere nuove strategie di coping e ristrutturare le loro reazioni emotive.”

Albert Rizzo

Riduzione dello stress e rilassamento

La realtà aumentata offre un potenziale promettente per creare esperienze rilassanti e favorire il benessere emotivo. Grazie alle sue capacità di sovrapporre elementi digitali al mondo reale, può trasportare gli utenti in ambienti virtuali tranquilli e sereni, creando un’esperienza immersiva che aiuta a ridurre lo stress e promuovere una sensazione di calma e relax, così come anche la realtà virtuale può immergere il soggetto in un ambiente completamente digitale e personalizzato.

Ecco come RA e RV possono essere utilizzate per creare esperienze rilassanti e promuovere il benessere emotivo:

  • Immersioni in ambienti naturali: possono simulare scenari di ambienti naturali, come spiagge, boschi, cascate o prati, consentendo agli utenti di immergersi in un’atmosfera rilassante e lontana dallo stress quotidiano.
  • Meditazione guidata: possono fornire sessioni di meditazione guidata, durante le quali gli utenti vengono guidati attraverso esercizi di respirazione, visualizzazioni e consapevolezza del corpo. Questo tipo di esperienza può aiutare a ridurre l’attivazione del sistema nervoso simpatico (responsabile della risposta di “lotta o fuga”) e promuovere invece il rilassamento attraverso il sistema nervoso parasimpatico.
  • Biofeedback e rilassamento: la realtà aumentata può essere utilizzata insieme a sensori fisiologici per fornire feedback in tempo reale sullo stato di rilassamento del paziente. Ad esempio, la tecnologia potrebbe mostrare all’utente i cambiamenti nella frequenza cardiaca, nella respirazione o nella tensione muscolare mentre si sperimenta un ambiente rilassante. Questo tipo di biofeedback aiuta gli utenti a diventare più consapevoli delle loro reazioni allo stress e ad apprendere tecniche per rilassarsi.
  • Ambienti personalizzati: consentono di creare esperienze rilassanti personalizzate in base alle preferenze e alle esigenze del paziente. La personalizzazione delle esperienze aumenta l’efficacia della terapia e il coinvolgimento del paziente.
  • Riduzione dell’ansia e gestione dello stress: RA e RV possono essere utilizzate come strumenti complementari nella gestione dell’ansia e dello stress. Attraverso l’esposizione controllata a situazioni virtuali che innescano ansia, i pazienti possono imparare a sviluppare strategie di coping e a familiarizzare con le proprie reazioni emotive.

Meditazione guidata

L’utilizzo della realtà aumentata (RA) e della realtà virtuale (RV) nel campo del rilassamento e della meditazione guidata sta guadagnando sempre più popolarità grazie ai suoi benefici nell’aiutare le persone a ridurre lo stress e promuovere il benessere emotivo. Diverse ricerche hanno dimostrato l’efficacia di queste tecnologie nell’indurre uno stato di calma e rilassamento profondo. Ad esempio, uno studio condotto da Pallavicini et al. (2016) ha esaminato l’impatto di una sessione di meditazione guidata in ambiente VR su un campione di individui con elevati livelli di ansia e stress. I risultati hanno mostrato una significativa riduzione dei livelli di ansia e un miglioramento del tono dell’umore dopo l’esperienza di meditazione guidata.

Gli ambienti immersivi attivano una serie di regioni cerebrali coinvolte nella percezione, nell’emozione e nell’apprendimento. Durante l’esperienza in un ambiente virtuale, le aree visive primarie e associative del cervello si attivano per elaborare le informazioni visive provenienti dalla simulazione. Questa attivazione può aumentare il coinvolgimento dell’utente nell’ambiente virtuale, creando una sensazione di presenza e immersione. Inoltre, l’attivazione delle regioni cerebrali legate alle emozioni gioca un ruolo cruciale nell’esperienza immersiva. L’interazione con stimoli visivi, uditivi e tattili all’interno dell’ambiente virtuale può influenzare l’attivazione dell’amigdala, una struttura cerebrale coinvolta nella risposta emotiva.

L’utilizzo strategico di stimoli rilassanti, come paesaggi sereni o suoni tranquillizzanti, può contribuire a modulare la risposta emotiva dell’individuo, facilitando il rilassamento e la riduzione dell’ansia.

L’uso di RA e RV per il rilassamento e la meditazione guidata sta cambiando il modo in cui le persone si avvicinano alla pratica della mindfulness, offrendo una gamma di esperienze uniche che possono essere adattate alle preferenze individuali. Con ulteriori ricerche e sviluppi tecnologici in corso, il futuro di questa tendenza sembra promettente, con l’obiettivo di fornire a un pubblico sempre più vasto strumenti per affrontare lo stress e migliorare il proprio benessere emotivo attraverso l’immersione in ambienti rilassanti e ristoratori.

Esposizione graduale

RA e RV si integrano in modo prezioso con la terapia per trattare l’ansia, in particolare attraverso l’approccio dell’esposizione graduale. Questa tecnica terapeutica è ampiamente riconosciuta per aiutare i pazienti a fronteggiare gradualmente situazioni o oggetti che provocano ansia, permettendo loro di affrontare le paure in modo controllato e sicuro. La plasticità cerebrale, un concetto cruciale nelle neuroscienze, gioca un ruolo fondamentale nell’adattamento e nell’apprendimento. L’esposizione graduale e controllata a situazioni ansiose nell’ambiente virtuale può portare a cambiamenti strutturali e funzionali nel cervello, influenzando positivamente la risposta dell’individuo allo stress. Ricerche suggeriscono che l’esposizione a situazioni di ansia tramite RV può facilitare l’apprendimento di nuove strategie di coping e la ristrutturazione delle reti neurali coinvolte nella regolazione delle emozioni.

I terapeuti possono creare ambienti virtuali sicuri e controllabili, che offrono una simulazione accurata delle situazioni temute, ma all’interno di un contesto protetto. Ciò consente ai pazienti di esplorare le proprie paure senza il rischio di confrontarsi direttamente con la situazione reale, fornendo una valida opportunità di apprendimento e crescita emotiva.

Un aspetto cruciale dell’esposizione graduale è la progressione. Con la realtà aumentata, i pazienti possono iniziare con stimoli poco minacciosi e aumentare gradualmente la sfida man mano che aumenta la loro fiducia e capacità di gestire l’ansia. Questa gradualità consente di evitare sovraccarichi emotivi, assicurando un processo terapeutico più efficace.

Uno dei vantaggi distintivi della realtà aumentata o della realtà virtuale in questo contesto è la sicurezza emotiva che offrono: sapendo di trovarsi in un ambiente virtuale, i pazienti si sentono più al sicuro nello sperimentare le loro paure. Ciò consente loro di concentrarsi meglio sulla gestione dell’ansia e sull’apprendimento di nuove strategie di coping senza essere travolti dalla paura delle conseguenze negative. I terapeuti infatti possono insegnare ai pazienti strategie adeguate ad affrontare l’ansia e gestire le emozioni associate, quali tecniche di rilassamento, respirazione profonda, distrazione e altre abilità cognitive e comportamentali utili per affrontare l’ansia in modo efficace.

Trattamento dell’ansia sociale

Il disturbo d’ansia sociale (SAD “Social Anxiety Disorder”) è caratterizzato da una paura eccessiva di valutazioni negative e rifiuto da parte degli altri e da una paura costante di imbarazzo o umiliazione e la terapia dell’esposizione in realtà virtuale è diventata uno strumento terapeutico importante per simulare situazioni sociali rilevanti all’interno di un contesto terapeutico.

Studi come quello condotto da Gorini et al. (2010) hanno esaminato l’efficacia dell’esposizione virtuale tramite RV per ridurre l’ansia sociale. I partecipanti hanno sperimentato simulazioni di situazioni sociali personalizzate all’interno di ambienti virtuali, ottenendo significativi miglioramenti nelle abilità di comunicazione sociale e una riduzione dell’ansia.

Un altro studio di Falconer et al. (2016) ha esplorato l’efficacia della realtà aumentata nel trattamento della fobia sociale. L’utilizzo della RA ha consentito ai partecipanti di affrontare situazioni sociali virtuali all’interno di ambienti reali, con sfide graduali e personalizzate. I risultati hanno mostrato un effetto positivo sulla riduzione dell’ansia sociale e un miglioramento della fiducia dei partecipanti nell’affrontare situazioni temute nella vita reale.

Oltre all’ambito clinico, la RA e la RV hanno trovato applicazioni anche nel mondo aziendale. Diverse aziende utilizzano queste tecnologie per migliorare le competenze sociali dei propri dipendenti. Ad esempio, i programmi di formazione e sviluppo professionale sfruttano la RA per simulare situazioni di riunioni e trattative, consentendo ai dipendenti di esercitarsi in modo efficace e sicuro. Questo tipo di terapia virtuale offre un ambiente protetto per sviluppare abilità di comunicazione, negoziazione e leadership, aiutando i dipendenti a sentirsi più sicuri e preparati per affrontare situazioni reali con maggiore fiducia.

Conclusione

Il potenziale di queste tecnologie nel campo della salute mentale è ancora in fase di esplorazione, ma le prospettive future sono interessanti. L’adozione della RV e della RA potrebbe offrire nuovi orizzonti per aiutare un numero sempre maggiore di persone a superare le sfide dell’ansia e dello stress, migliorando così il loro benessere emotivo e la qualità della vita.

“La realtà virtuale può offrire un modo altamente efficace per esporre i pazienti alle situazioni temute e consentire loro di imparare a gestirle in un ambiente controllato.”

Stéphane Bouchard

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Oltre gli stereotipi: il tabù dei disturbi alimentari maschili e il ruolo delle norme di genere

Per lungo tempo, il focus sui disturbi alimentari è stato incentrato principalmente sulle donne, ma negli ultimi anni è diventato evidente quanto anche la popolazione maschile sia coinvolta in questa problematica. La ricerca dell’ideale corpo esemplare e la preoccupazione per l’aspetto fisico hanno portato anche i ragazzi e gli uomini a sviluppare disturbi alimentari.

Secondo dati recenti, si stima che il 25% delle persone che soffrono di disturbi alimentari sia costituito da uomini. Tuttavia, è importante sottolineare che questa cifra potrebbe essere sottostimata, poiché gli uomini tendono a sottoporsi meno frequentemente a diagnosi e trattamenti per tali disturbi a causa dello stigma sociale e delle aspettative di genere.

“La società ha posto un’enorme enfasi sul corpo maschile muscoloso e perfetto, ma ciò può portare a gravi problemi di immagine corporea e disturbi alimentari tra gli uomini.”

Dr. Stuart Murray

La rappresentazione dell’immagine corporea maschile

La rappresentazione dell’immagine corporea maschile ha sempre privilegiato la forza, l’attività e il coraggio. Questa concezione del corpo maschile come “tempio” ha radici antiche, come nell’Antica Grecia, dove esisteva una netta differenziazione tra l’essere maschile e l’essere mascolino. La mascolinità era strettamente connessa alla virtù e al coraggio, attributi esclusivamente associati agli uomini. Questo modello educativo basato sulla formazione al combattimento ha contribuito a forgiare la corporeità maschile, ma solo di recente sono emersi i “costi invisibili” che gli adolescenti maschi devono affrontare per raggiungere l’ideale di mascolinità vincente.

La pressione sociale per conformarsi a un corpo muscoloso e atletico può portare a comportamenti patologici, come l’eccessivo esercizio fisico, il controllo estremo dell’alimentazione o l’uso di sostanze per migliorare le prestazioni. Questi comportamenti possono essere dannosi per la salute fisica e mentale, causando problemi come l’anoressia inversa o la vigoressia.

Inoltre, questa concezione limitata della mascolinità ha avuto un impatto negativo sulla salute mentale degli uomini, poiché possono sentirsi obbligati a nascondere le proprie vulnerabilità e le emozioni, cercando di mostrarsi sempre forti e imperturbabili. Questo rigido schema di mascolinità può impedire agli uomini di esprimere liberamente i propri sentimenti e di chiedere aiuto quando ne hanno bisogno, contribuendo a una cultura dell’isolamento emotivo.

Vigorexia

La vigorexia, nota anche come disturbo della bigoressia o anoressia inversa, rappresenta una forma particolarmente preoccupante di disturbo alimentare che affligge principalmente gli uomini. Inserita nel DSM-V tra i “Disturbi Evitanti/Restrittivi dell’assunzione di cibo” e classificata come un disturbo dismorfofobico, la vigorexia è caratterizzata da una preoccupazione ossessiva per l’aspetto fisico, con particolare attenzione all’incremento della massa muscolare. Gli individui affetti da vigorexia intraprendono uno stile di vita caratterizzato da lunghi e intensi allenamenti fisici, seguiti da restrizioni alimentari e l’uso di integratori o sostanze steroidee per raggiungere il loro obiettivo di muscolatura idealizzata.

Le radici della vigorexia possono essere rintracciate nel sistema socioculturale che per secoli ha privilegiato un ideale di mascolinità basato sulla forza, la virilità e la muscolarità. L’immagine di un corpo muscoloso e scolpito è stata associata alla rappresentazione dell’uomo forte e dominante, spingendo molti uomini a identificare la propria mascolinità con l’aspetto fisico. Questo ideale di mascolinità può diventare così pervasivo e costrittivo da portare alcuni individui a sviluppare un’ossessione patologica per l’aspetto fisico, con una costante preoccupazione per il raggiungimento e il mantenimento di un livello di muscolarità ritenuto accettabile.

È spesso alimentata anche dall’influenza dei media e delle industrie del fitness, che promuovono immagini irrealistiche e ideali di mascolinità, creando aspettative inarrivabili per molti uomini. L’ossessione per l’aspetto fisico può quindi trasformarsi in un circolo vizioso, in cui il bisogno di raggiungere uno standard di muscolarità sempre più elevato diventa sempre più pressante, portando a comportamenti sempre più estremi e dannosi per la salute.

Gli individui affetti da vigorexia possono sperimentare gravi conseguenze sulla loro salute mentale e fisica. La costante insoddisfazione per il proprio aspetto fisico può portare a bassa autostima, depressione, ansia e disturbi dell’umore. Inoltre, gli eccessivi allenamenti e le restrizioni alimentari possono provocare problemi fisici, come danni muscolari, problemi cardiaci e disturbi metabolici.

Per affrontare con successo la vigorexia e promuovere una sana immagine corporea maschile, è essenziale sfidare gli ideali irrealistici di mascolinità e promuovere una cultura dell’accettazione di sé e del corpo. Gli uomini devono essere incoraggiati a esplorare e abbracciare la propria identità di genere in modo autentico, senza essere definiti da stereotipi o pressioni sociali. La consapevolezza e la sensibilizzazione riguardo alla vigorexia devono essere aumentate, affinché si possa offrire il supporto necessario a coloro che ne sono affetti, promuovendo un ambiente in cui la salute mentale e fisica degli uomini sia preservata e valorizzata. Solo attraverso un approccio inclusivo e compassionevole possiamo sperare di superare gli effetti negativi degli ideali di mascolinità distorti e sostenere il benessere di tutti gli individui.

Disturbi alimentari maschili e orientamento sessuale

La comprensione dei disturbi alimentari maschili richiede anche una profonda considerazione degli orientamenti sessuali, poiché essi possono essere intrinsecamente legati agli stereotipi culturali e alla conformità di genere. Le ricerche hanno messo in luce una maggiore prevalenza dei disturbi alimentari tra gli uomini appartenenti a minoranze sessuali, oltre a rilevare una serie di fattori di rischio associati, quali l’oggettificazione del corpo, il desiderio di magrezza, l’esperienza di vittimizzazione e la presenza di condizioni psichiatriche coesistenti.

Tuttavia, è importante sottolineare che le indagini che esplorano le disparità di orientamento sessuale nei sintomi dei disturbi alimentari sono ancora piuttosto limitate. Pertanto, è necessaria una ricerca più estesa e approfondita in questa area per comprendere appieno l’interconnessione tra orientamento sessuale, norme di genere e la psicopatologia dell’alimentazione disordinata. Un maggiore sforzo nel raccogliere dati e condurre indagini approfondite può aiutare a gettare luce su questa dimensione spesso trascurata dei disturbi alimentari maschili.

Parallelamente, è essenziale condurre ulteriori ricerche per individuare i fattori di rischio specifici della psicopatologia dell’alimentazione disordinata all’interno delle popolazioni transgender, dove è stata segnalata un’elevata prevalenza di tali disturbi. Comprendere le sfide uniche che gli individui transgender affrontano riguardo all’immagine corporea e all’identità di genere può consentire lo sviluppo di strategie di intervento mirate e di programmi di trattamento adeguati a soddisfare le loro esigenze specifiche.

Quali sono i segnali da monitorare per rilevare questa forma di disturbo?

I soggetti colpiti tendono a frequentare costantemente palestre o luoghi in cui possono fare esercizio fisico. Ciò che li contraddistingue non è solo il numero di sedute d’allenamento settimanali, che può essere elevato anche in soggetti senza il disturbo, ma il profondo stress che sperimentano nel caso di una sessione saltata o nell’assunzione irregolare di integratori, spesso ottenuti online e talvolta illegalmente. Questa compulsiva pratica sportiva è spesso accompagnata dall’uso indiscriminato di sostanze proibite, mescolate senza supervisione medica con integratori, anabolizzanti e steroidi, acquistati da fonti poco affidabili online.

Le persone con vigoressia sono caratterizzate dall’eccesso e dalla smodata dedizione a questa pratica, che può portarli all’isolamento sociale, concentrandosi solo sugli altri membri del gruppo di allenamento, e a trascurare famiglia, scuola o lavoro. L’ossessivo controllo alimentare è un altro aspetto distintivo.

A confronto con l’anoressia nervosa, maggiormente nota e comune tra le donne, l’anoressia inversa si presenta con il terrore di non avere abbastanza muscoli, di “non essere abbastanza grandi” ed è più frequentemente riscontrata negli uomini.

Spesso, le persone affette da vigoressia non riconoscono il disturbo e quindi non cercano aiuto da uno psicoterapeuta. In questi casi, sono spesso i familiari o gli amici più intimi, preoccupati per l’eccessiva dedizione dell’individuo a questa pratica, a cercare il supporto di un professionista per comprendere meglio la situazione e aiutare il loro caro.

Infine, è importante sottolineare che sebbene alcuni segnali come numerosi allenamenti settimanali, ossessivo controllo dell’alimentazione e dispercezione corporea non dovrebbero allarmare immediatamente, è essenziale monitorarli attentamente e segnalarli a uno psicoterapeuta per una valutazione approfondita e, se necessario, intraprendere un percorso di intervento adeguato. Un intervento tempestivo e mirato può essere fondamentale per affrontare il disturbo e migliorare la qualità della vita del soggetto coinvolto.

Conclusione

Per supportare al meglio i soggetti maschili che lottano contro i disturbi alimentari, è essenziale adottare un approccio triplice che si concentri sull’individuazione, l’intervento e la ricerca, con l’obiettivo primario di destigmatizzare tali disturbi. In primo luogo, occorre prendere in considerazione i fattori di contesto socioculturale, le pressioni psicologiche e il ruolo dell’espressione di genere nei confronti degli uomini e della mascolinità in relazione ai disturbi alimentari. Diverse prove empiriche hanno rivelato che i maschi rischiano di essere diagnosticati in modo erroneo quando cercano cure specializzate, determinando un rafforzamento del disturbo e un prolungamento della sua durata. Di conseguenza, è fondamentale sviluppare linee guida mediche, psicologiche e psichiatriche più inclusive, considerando le specifiche esperienze e necessità degli uomini con disturbi alimentari, come ad esempio le implicazioni del testosterone, l’uso di steroidi, le complicazioni cardiovascolari e osteoporotiche.

In secondo luogo, un’attenzione clinica mirata potrebbe giovare di interventi adattati all’esperienza maschile. Gli specialisti devono ricevere formazione approfondita sui disturbi concomitanti e sviluppare approcci personalizzati che tengano in considerazione le sfide specifiche che gli uomini affrontano. Interventi mirati, come gruppi di sostegno che affrontano le problematiche dell’immagine corporea maschile, programmi sull’attività fisica, l’orientamento sessuale e le questioni riguardanti le prestazioni sessuali, possono dimostrarsi preziosi per il trattamento e il recupero di questi individui.

In terzo luogo, occorre superare l’emarginazione dei maschi nella ricerca sui disturbi alimentari. La letteratura scientifica su questo tema ha mostrato una mancanza di rappresentazione degli uomini in diverse fasce d’età, culture, etnie e ambiti neurobiologici, nonché la fisiopatologia dei disturbi alimentari.
È quindi cruciale incentivare e sostenere la ricerca specificamente dedicata ai disturbi alimentari maschili, al fine di ottenere una maggiore comprensione e di sviluppare nuove strategie di trattamento adeguate alle loro esigenze.

“I disturbi alimentari maschili spesso passano inosservati a causa dei pregiudizi culturali che li circondano. Riconoscere l’esistenza e l’importanza di questi disturbi è essenziale per garantire una diagnosi e un trattamento adeguati.”

Dr. Christopher G. Fairburn

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